Il tempo di essere felici.
Vittime o padroni dell’iconcina sullo smartphone che annuncia una notifica?

Cammino per strada. Sono in fila nell’ufficio delle Poste. Gironzolo per il centro commerciale. Entro nella metro. Siedo a un tavolo di ristorante.
Azioni diverse. Momenti diversi. Una costante: gente con il capo chino sul black mirror del proprio smartphone. Ma perché? Con tutta la meraviglia che c’è intorno a noi, perché?
Perché siamo programmati in questo modo. È l’evoluzione che ci ha resi così.
Ho sentito diversi amici lamentarsi di questo loro atteggiamento. E ho sentito i loro partner soffrire per queste abitudini. «Quando torna dal lavoro nemmeno mi guarda in faccia, si mette sul divano e va su Facebook». Persone che vorrebbero “uscire dal tunnel”, ma non sanno come fare.
Perché non sanno da dove nasca il tutto.
Nel nostro sistema nervoso esiste un meccanismo che, come un’arma a doppio taglio, può essere davvero pericoloso, quello della ricompensa.
Si tratta di un meccanismo legato al rilascio della dopamina, il neurotrasmettitore della felicità e dell’appagamento. La dopamina, una volta in circolo, dice al nostro sistema nervoso: «Guarda quanto sei felice! Cerca di capire cosa ha permesso di mettermi in circolo e replica quel comportamento».
Nulla di male, se il comportamento che ha rilasciato dopamina è qualcosa di salutare, come l’attività fisica. Nascono problemi, invece, nel momento in cui la dopamina viene rilasciata dall’assunzione di nicotina, alcool, droghe, o anche dal gioco d’azzardo o da comportamenti assai poco funzionali.
Sì, proprio come lo scorrere il dito sullo smartphone.
L’iconcina rossa di Facebook che ci annuncia un nuovo messaggio in arrivo. Le notifiche di “like” e commenti a nostri post. La curiosità di vedere cosa ci riserva la nostra home page, in cui compaiono gli aggiornamenti di stato dei nostri contatti, scrollando il dito sullo schermo. Sono tutte azioni che portano verso un rilascio della dopamina. E la dopamina dice, al nostro sistema nervoso: «Guarda quanto sei felice! Cerca di capire… bla bla bla».
Così, non riusciamo a staccarci da quello specchio nero che sovrappone l’immagine di ciò che siamo nel mondo reale con ciò che diveniamo nel cyberspazio. In un vortice caleidoscopico che fagocita la nostra volontà e il nostro tempo.
Ma lo scenario non è così apocalittico, se si sa come intervenire.
Pochi minuti, bastano pochi minuti al giorno. Ogni giorno. A partire da oggi, non da domani. Se si vuole rimodulare il comportamento, se ci si rende conto che il comportamento attuale non fa per noi, se comprendiamo che siamo vittime di noi stessi, c’è una buona notizia: si può cambiare.
Nonostante la forza insita in questo meccanismo, abbiamo dalla nostra parte una sorta di superpotere del sistema nervoso: la plasticità. Sì, il nostro sistema nervoso può essere modellato a nostro piacimento, a qualsiasi età. Lo strumento per farlo è la pratica quotidiana. Alcune stime affermano che già in 3 mesi si possa dar vita a nuovi comportamenti.
L’importante è che la pratica sia quotidiana (cioè, ogni santo giorno) e graduale. All’inizio sarà dura, sentiremo il richiamo delle sirene che ci spinge verso il vecchio comportamento. Ma dobbiamo resistere, come moderni Ulisse, stringere i denti e andare avanti per la nostra strada.
Anche in ambito clinico, davanti a problematiche molto più serie di un semplice scroll sullo smartphone, viene utilizzato questo stesso approccio dalla terapia cognitivo-comportamentale. Questo a riprova del fatto che il metodo funziona a ogni livello.
Se si vuole davvero cambiare, dunque, lo si può fare. Si può tornare a utilizzare in altro modo quel tempo prezioso che ci viene rubato da comportamenti compulsivi. Tempo che non tornerà mai più. Minuti che non ci verranno restituiti e che potremmo utilizzare per amare, godere del paesaggio, leggere o sognare.
Insomma, per essere davvero felici.
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