Sbagliando si impara, se ce lo permettono

L’importanza del feedback “Gli esami non finiscono mai“, è il titolo di una indimenticabile commedia degli anni ‘70 di Edoardo De Filippo che rappresenta con amarezza ed ironia come si vive sotto l’occhio critico del mondo esterno. Genitori e nonni prima, gli insegnanti poi, ma anche i compagni di scuola e di vita, i coniugi, gli amici, i colleghi, i parenti, i vicini, i figli, fino ai nipoti. Occhi esterni che osservano e a volte restituiscono pareri utili e costruttivi, ma altre volte invece, soltanto giudizi trancianti. Nonostante non sia più una bambina, ricordo molto bene la paura di sbagliare che mi inibiva sui banchi di scuola. Oggi mi capita di vedere nelle aziende persone altrettanto inibite nelle riunioni o davanti a un capo, per timore di cadere in un ipotetico errore. Ho approfondito la pedagogia dell’errore, ma ne ho compreso l’effetto benefico solo dopo averla sperimentata sulla mia pelle in una scuola americana dove ero andata a studiare l’inglese. Inizialmente non fiatavo per timore di fare figuracce, fino a quando mi sono resa conto che la docente applaudiva ogni intervento sgrammaticato. Applaudiva e diceva “Grazie per il tuo errore, sarà più facile capire che…“. Ricordo un voto basso in un compito scritto per gli errori di grammatica inglese, ma nello stesso compito c’era anche un voto alto per le idee espresse. “Il principio è intervenire non solo sui punti deboli, ma anche valorizzare gli strengths, i punti di forza. Dalle nostre parti l’esercizio della critica molto raramente viene utilizzato in modo costruttivo e diviene spesso fonte di conflitti, dissapori e in diversi casi viene considerata una minaccia alla propria sicurezza, all’autostima, un colpo inferto all’immagine di sé. Una critica distruttiva, soprattutto se tocca l’essenza della persona, piuttosto che i suoi comportamenti, genera una probabile e sterile controffensiva o una ritirata difensiva, sancita dal mutismo. In diverse aziende ho colto forme di linguaggio militaresco:”Dobbiamo stare attenti al fuoco amico… Siamo in prima linea… Non abbassiamo la guardia… Scendiamo in campo… Combattiamo insieme la battagia…ecc…” Frasi queste, che alla lunga intaccano la cultura aziendale. Le persone in questi contesti hanno paura di sbagliare, temono il giudizio, evitano di esprimere anche quelle che potrebbero essere buone idee. Il rischio, che spesso si tramuta in realtà, è un appiattimento nel pensiero dominante e un freno all’innovazione. Eppure “Il progresso non è altro che brancolare da un errore all’altro“, diceva Henrik Ibsen. Un manager, nei colloqui di feedback pronunciava solo frasi come: “Così non va bene, non hai raggiunto i risultavi che avevamo concordato“, trasmettendo solo un senso di disapprovazione. Lui coglieva molte sfumature migliorative sul piano relazionale, organizzativo o gestionale, ma si guardava bene dal condividerle. Quando ha imparato a trasferire e contestualizzare i suoi commenti ai diretti interessati, ha avuto la sorpresa di sentirsi ringraziare anche quando il feedback era negativo. I suoi collaboratori avevano avuto spunti di apprendimento sia per migliorare che per rinforzare le loro competenze. E come gestire i commenti non sempre benevoli degli altri? Una possibilità è chiedersi cosa si sta imparando da quelle parole. Forse gli altri vedono ciò che noi non vediamo? Possono spiegarci come meglio procedere? Hanno un’idea geniale nel cassetto pronta per noi? Un buon suggerimento da offrire? In questi casi sono regali preziosi, utili spunti di riflessione e crescita. “Quando la critica è contestualizzata e accompagnata da spunti migliorativi, è una preziosa occasione di crescita ed è più facile accettarla. Nella nota finestra di Johari (lo schema delineato da Joseph Luft e Harry Ingham) esiste un’area cieca a noi, ma evidente alle altre persone. E’ come l’escremento di un uccello sulla spalla, tutti la vedono tranne chi la “indossa”. L’unico modo per avere informazioni su questa area oscura è attraverso il feedback degli altri. Nel Coaching, usiamo molto i feedback, che risultano efficaci se non appaiono giudicanti e sono sostenuti da quegli ingredienti che Goleman chiamava Intelligenza emotiva. Il feedback è un commento che offre una fotografia (positiva o negativa), di quanto avviene in una sessione, in termini costruttivi, tesi all’apprendimento e alla consapevolezza della persona. Corrisponde alla capacità di esprimere le proprie idee e sensazioni, in modo diretto, rispettoso dell’unicità della persona, con onestà e trasparenza, prendendosi la responsabilità del proprio soggettivo punto di vista. Una possibile via, in generale, per favorire la libertà di imparare anche sbagliando. (Pubblicato in: Capacità manageriale,Coaching,Errore e cultura dell’alibi,Journal online di BridgePartners)
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