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Coaching e CHAT GPT

L’intelligenza artificiale spazzerà via i Coach?

Uno dei temi più ricorrenti e controversi di cui si legge e si  discute in questo periodo, è un argomento che spaventa, entusiasma e viene spesso enfatizzato.

Mi riferisco all’intelligenza Artificiale, uno strumento straordinario, una delle più grandi applicazioni della scienza e della tecnologia degli ultimi settant’anni. Siamo la prima generazione a prendere davvero coscienza dell’impatto nelle nostre vite di questo  sistema che simula i processi cognitivi dell’intelligenza umana, attraverso calcoli e algoritmi integrati.

Non sono certo un’ esperta in materia, ma sono una persona curiosa che osserva i fenomeni nuovi, ascolta e si interroga.

Alcuni tipi di intelligenza artificiale esistono già da una cinquantina d’anni, ma il balzo in avanti è recentissimo. L’AI è entrata in maniera repentina e, forse, prepotente nella vita delle persone e ne abbiamo solo dovuto prendere coscienza, tra l’altro di una minima parte, rispetto a ciò che rappresenta realmente.

Negli anni, siamo stati certamente vittime inconsapevoli del suo utilizzo in moltissime nostre attività. 

Siamo stati e siamo tutt’ora controllati, ascoltati, spiati e usati.
l nostri saperi, il nostro linguaggio, i comportamento, nutrono l’Intelligenza Artificiale. 

 

Molti coach si interrogano su quale sarà il loro futuro. Alcuni temono di essere spazzati via, perché convinti che l’intelligenza artificiale sarà in grado di simulare perfettamente una sessione di coaching.  

Ma è proprio così?

Ho fatto esperimenti, ho letto di esperimenti di altri e sono giunta ad alcune considerazioni   (cfr. i tre articoli di Stefano Talamo su Coaching Time). In una sessione simulata di coaching, le domande che genera l’intelligenza artificiale sono legate ad algoritmi, pilotati inconsapevolmente dall’utente  per farsi dire ciò di cui hai bisogno, senza ulteriori verifiche da parte del coach artificiale.

 

L’Intelligenza artificiale impara molto facilmente, ma ammette con trasparenza che rispetto ad un coach umano, perde su un punto: non sa usare l’empatia.

E  aggiungerei che non è in grado nemmeno di far emergere ed esplorare i valori che muovono le azioni delle persone verso i loro obiettivi.

Il coach si muove con etica, conosce i confini dei conflitti di interesse e i confini tra la sua e le altre professioni. Non penso che l’Intelligenza artificiale sia in grado di fare lo stesso.

Sono però consapevole, che la scienza continui  ad andare avanti e che sia essenziale coglierne le opportunità. 

L’AI è uno strumento utilissimo nel campo della ricerca, dell’ informazione, della didattica. Può diventare un valido assistente a portata di mano.

 

Il Coach può trovare spazio nell’affiancare le persone e aiutarle a usare in modo più appropriato l’Intelligenza Artificiale.

E così, come nella vita le persone hanno di fronte migliaia di opportunità e non sanno quale strada seguire, anche nella ricerca di risposte sulla chat GPT l’affiancamento di un coach, può essere utile per comprendere da quale obiettivo partire, verso dove andare e come usare le informazioni dell’Intelligenza Artificiale per ottenere ciò che è utile nella vita reale.

Sono assolutamente aperta a questo nuovo strumento, ma ne colgo anche i possibili rischi. Uno su tutti è che l’utente provi empatia verso una macchina sempre disponibile che risponde in qualunque momento, in modo cortese, affabile, gentile.

 

Intravedo un rischio di dipendenza soprattutto per le persone più fragili. 

Di fatto,  c’è che l’AI è sicuramente e diventerà sempre più uno dei tanti strumenti alla portata di chiunque per avere un accesso diretto, puntuale e integrato alle richieste più diverse.

Ciò accade già quando cerchiamo delle informazioni su Internet, ma dobbiamo andare ad esplorare i vari link selezionati uno ad uno. 

In questi casi il lavoro sporco lo fa l’Intelligenza artificiale. Fa una sua sintesi delle risposte alla nostra richiesta e ci consegna il risultato preconfezionato della ricerca.

Comodo, ma temo un cortocircuito autoreferenziale. L’interlocutore chiede, fa domande, interroga l’AI solo nell’ambito della sua prospettiva iniziale. 

La Chat GPT si adatta e crea una sorta di cluster della persona che la sta interrogando e sulla base delle informazioni in entrata, restituisce un output adeguato al tipo di richiesta e del richiedente. 

 

Il valore del coach è quello di offrire domande scomode, domande che possano aprire a nuove e impreviste prospettive, che sappiano cogliere sfumature valoriali, integrare le capacità riconosciute e ascoltate, domande che sappiano stimolare l’auto riflessione, scoprire nuovi tratti inesplorati del sé. 

 

Il Coach si muove nel rispetto assoluto del valore della persona nella sua unicità, peculiarità e nel rispetto della della cultura del cliente. In sintesi, nel rispetto della sua umanità, per generare valore. 

Il Coach coglie sfumature del detto e non detto, ogni micro-segnale non verbale e verbale. Riconosce nel cliente un tono di voce che si abbassa o si alza, si fa acuto o profondo, gli occhi che si commuovono alla percezione improvvisa di un’emozione. E sa che a ogni cambiamento percepito, corrisponde una potenziale nuova consapevolezza da far emergere.

Tutto questo, dubito che l’intelligenza artificiale sappia farlo e potrà mai riuscire a farlo. 

Sono fiduciosa che il ruolo di un buon coach rimarrà un ruolo di valore e un riferimento insostituibile per la crescita delle persone.

 

Il coach non deve essere un modello di perfezione, anzi noi possiamo essere anche un modello di imperfezione dimostrando ad esempio la nostra vulnerabilità nei momenti in cui non abbiamo la domanda da proporre a un cliente. 

“Lo sai che non so cosa chiederti?” “Tu a questo punto che domanda vorresti sentire da parte mia?” 

Questo è un esempio di come il coach sia in grado di stimolare la responsabilità del cliente nel cercare in sé le strade da esplorare.  

L’Intelligenza artificiale si aspetta, una richiesta specifica.

Va al risultato predefinito e se qualche segnale debole indica una strada diversa, probabilmente non sarà in grado di coglierla. E il rischio è che percorra una strada errata, che cominci a dare idee, a indicare tutta una serie di possibili aree da esplorare non realmente correlate al cambio di direzione, condizionando fortemente il cliente, pur di arrivare alla meta prestabilita.

 

Il coach non è responsabile dei risultati che il cliente otterrà, la responsabilità del coach è solo quella di  gestire bene il processo della sessione e il flusso delle domande.

Il coach molto spesso si trova di fronte un cliente che non ha le idee chiare su cosa vuole lavorare. La prima parte della sessione di solito è proprio indirizzata a delineare un obiettivo, a far emergere le ragioni che lo sostengono, il  senso e i valori dei suoi risultati.

Il coaching può aiutare a gestire meglio la chat GPT o altro, sviluppando lo spirito critico, la capacità di pensare con la propria testa, distinguendo la realtà dei fatti dalle proprie opinioni soggettive e i propri pregiudizi.

Il coach non offre ricette o suggerimenti. Anzi, attraverso un gioco di domande sfidanti, invita il cliente a mettere in discussione le proprie idee o le prime considerazioni per scoprirne di più autentiche, profonde e fattibili nel rispetto del suo sistema cognitivo, fisico, emotivo e culturale.

L’effetto finale è sorprendente. Stimolare la riflessione e l’apprendimento consapevole, consente ai clienti di comprendere come funzionano, in quale modo ragionano, , imparano a riconoscere e usare le emozioni, per sviluppare strategie vincenti.

 

La differenza sostanziale tra l’intelligenza artificiale e un coach è che l’AI, offre buone risposte generate dalle domande;  Il Coach, offre buone domande generate dalle risposte. 

 

Ascolta la puntata del podcast dedicata a questo argomento:

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