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Una finestra aperta

Siamo nella stessa stanza, io e il mio amico Renato. Comodamente affondati nelle poltroncine dalla tappezzeria a fiori. Chiacchieriamo. Mi racconta di certe sue difficoltà e insoddisfazioni. Niente di grave, eppure sente che qualcosa nella sua vita non va per il verso giusto. «Non ti sembra che in questa stanza manchi un po’ l’aria?», mi dice ad un tratto. «Beh mi sento un po’ così. Ho l’impressione che mi manchi il respiro». «Capisco. Ma cosa pensi di fare?» «Che ne pensi se apriamo la finestra?» «Certo, fa’ pure». Renato si alza, si sgranchisce un poco le ossa della schiena e lo osservo mentre attraversa la stanza. Vorrei aiutarlo a essere più contento e in pace. Scosta un po’ le cortine di cotone e un raggio di sole ridona colore a tutto ciò che c’è nella stanza. Le forme geometriche del tappeto persiano, prima indistinte e oscure, recuperano il loro disegno originario; i cristalli del lampadario creano piccoli arcobaleni che danzano sulle pareti. La finestra si apre e devo stringere un po’ gli occhi per non rimanere abbagliato. Dalla poltrona in cui sono seduto non posso vedere ciò che c’è fuori. Solo, nella vetrina di fronte a me, vedo riflesso Renato che si ferma davanti alla finestra, una sagoma scura circondata dalla luce del giorno. Un filo d’aria è entrato nella stanza e si sta meglio, decisamente meglio. «Cosa vedi?» gli chiedo. «C’è uno spettacolo meraviglioso! Il giardino qui proprio sotto la finestra è tutto in fiore, i boccioli delle rose sono appena dischiusi, sulla parete della casa di fronte un gelsomino si arrampica tenace e i fiori bianchi si nascondono tra le foglie. Le rondini si inseguono in cielo e sembra che stiano danzando». Tutto ciò è molto bello, ma è fuori dal mio campo visivo. Dalle sue descrizioni dettagliate, però, se chiudo gli occhi, posso immaginarlo. «E poi?» «Più in là c’è un piccolo bosco e dietro un paese, poche case dal tetto rosso e al centro il campanile di una chiesa. Sullo sfondo ci sono montagne e sulle vette c’è ancora un po’ di neve. Alcuni dettagli, laggiù, non si distinguono bene, c’è troppa luce. Ma penso che non appena il sole scenderà un poco ogni cosa si vedrà in modo più definito». Il profumo del gelsomino ha intanto invaso la stanza e la sua fragranza copre ogni cosa. Il fumo del sigaro che abbiamo fumato, metà lui, metà io, è solo un ricordo fugace. Dividere un sigaro è come stringere un patto, come il calumet della pace degli indiani d’America. Adesso qui dentro si respira e c’è una sensazione piacevole, di casa. «E che altro vedi?» gli domando. «Vedo… Vedo che ho una voglia matta di uscire da questa stanza. Con una giornata così non si può stare chiusi dentro. È mia intenzione fare una lunga passeggiata fino al paese». «Va, prenditi il tempo che vuoi. Ti aspetterò qui». Renato è andato via rincuorato. È passato un po’ di tempo e le cose pian piano si stanno sistemando. Ci siamo incontrati altre volte. Tuttora non capisco bene cosa abbia portato un miglioramento nella sua vita. A volte mi viene il sospetto che sia bastato aprire quella finestra, ma non ne sono sicuro…

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