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Volere è volare

Mai ti si concede un desiderio senza che ti sia concesso anche il potere di farlo avverare. Può darsi che tu debba faticare per questo, tuttavia. (Richard Bach) La frase di Richard Bach evoca un elemento che per molti è esperienza concreta nell’inseguire e rendere reali i propri sogni, desideri o obiettivi: l’importanza di agire con impegno e con spirito di sacrificio. Infatti, a volte, la natura stessa di ciò che si insegue è tale da richiedere un instancabile esercizio di dedizione, costanza, pazienza, determinazione, spirito di abnegazione e flessibilità, per essere progettata e attuata nella propria vita individuale, un passo avanti dopo l’altro, senza fermarsi di fronte alle difficoltà, agli imprevisti o alla semplice fatica che genera scoraggiamento. A volte, portare a compimento quella visione di sé significa accettare e scegliere giorno dopo giorno di fare tutto quanto è richiesto senza risparmiarsi, nella convinzione profonda che quanto custodito in noi richieda senza tregua di venire fuori se vogliamo compiere noi stessi. Un esempio eccezionale di questo è rappresentato dalla figura di Hamilton Naki, la cui storia è una delle più straordinarie ed ispiranti del XX secolo, per quanto ancora poco nota. Hamilton Naki era un grande e stimato chirurgo sudafricano nero, ma quando morì nel 2005 all’età di 79 anni la notizia non ebbe il meritato risalto. Naki fu colui che nel 1967, a Città del Capo, prelevò l’organo dal corpo della donatrice nel primo trapianto di cuore con esito positivo. Eppure, a diventare immediatamente una celebrità internazionale fu il chirurgo-capo del gruppo, Christian Barnard, del quale Naki era braccio destro. Infatti, per le leggi del Sudafrica di allora, la segregazione tra bianchi e neri, l’Apartheid, era ferrea ed un nero non poteva operare pazienti nè toccare il sangue dei bianchi. Così, nè il nome nè l’immagine di Naki poterono apparire tra quelli dell’equipe operatoria. A rendere incredibile la storia di Naki è che egli non avesse mai studiato medicina né chirurgia. Nato da una povera famiglia nera di campagna, dovette abbandonare la scuola a 14 anni, dopo la licenza media. Andato a Città del Capo, in cerca di lavoro fu in seguito assunto dell’Ateneo come giardiniere, lavoro che svolse per oltre dieci anni. Il suo destino si rivelò nel 1954: un medico della Facoltà di Medicina compiva esperimenti sugli animali e cercava qualcuno che si occupasse delle cavie. Naki accettò il lavoro. Incominciò così il suo apprendistato autodidatta nei laboratori della Facoltà. In breve tempo, le incombenze di Naki crebbero per numero e complessità: “Era difficile, ma io volevo imparare”, raccontò in seguito. Così, all’inizio degli anni ‘60, Hamilton teneva ormai il bisturi in mano, trapiantando fegati, cuori di cani e di maiali e rivelando il suo talento “naturale” e straordinario per la medicina, la sua curiosità e la capacità di apprendere velocemente il mestiere del chirurgo. La svolta definitiva avvenne con il rientro del cardiochirurgo Christian Barnard dall’America. Apprese oltre oceano le tecniche di intervento a cuore aperto, aveva bisogno di un assistente e la scelta cadde, nuovamente, sull’emergente Naki. La coppia divenne inseparabile e Naki continuò la sua scuola in prima linea. Diventò utile e, via via, indispensabile. Le sue capacità, ampiamente riconosciute, dovevano, però, rimanere “clandestine”. Anche nell’insegnamento rivelò la sua bravura, tanto che gli studenti bianchi affollavano le sue lezioni. Arrivò anche quella notte del 1967 in cui Denise Darvall, di soli 25 anni, scese dalla macchina per comprare un dolce e venne investita da un pirata. Dichiarata clinicamente morta, l’équipe guidata da Naki compì l’espianto del cuore dal corpo della ragazza e l’équipe di Barnard il trapianto nel corpo della ricevente: Barnard divenne una celebrità mondiale, ma Naki rimase sconosciuto. Naki continuò sempre ad essere pagato con il salario di un aiutante di laboratorio, il massimo che un ospedale potesse pagare ad un nero, e a vivere in una misera baracca in un ghetto di periferia. Per decenni Naki fu la testimonianza vivente della limpida frase di Seneca: “La fortuna è l’incontro tra la preparazione e l’occasione”. Fu grande nel capire subito che la discriminazione e la clandestinità facevano parte della mediazione del suo sogno con la realtà. Credeva profondamente in quello che faceva e voleva rendersi utile e migliorare se stesso. Così, continuò a studiare da autodidatta, ad imparare e a dare sempre il meglio di sè. Hamilton Naki insegnò chirurgia per 40 anni, ma andò in pensione formalmente ancora come giardiniere, con un mensile equivalente a 226 euro attuali. Solo quando terminò l’Apartheid il suo sogno ebbe anche un riconoscimento esterno: gli offrirono una decorazione ed il titolo di medico “honoris causa”. Eppure, Hamilton Naki già nei lunghi anni della clandestinità aveva realizzato e vissuto la pienezza del suo sogno, con tenacia e passione. Già da allora aveva scelto di plasmare il suo “essere”, venendo a patti con i vincoli ed i limiti che la realtà esteriore e la sorte, cioè il lato visibile degli accadimenti, gli imponevano. Già da allora aveva saputo immaginare quello che voleva e poteva essere e lo aveva reso possibile instancabilmente ogni giorno.

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