Palla in buca con il coach

Un coinvolgente esempio di coaching nel film diretto da Robert Redford La Leggenda Di Bagger Vance America, Georgia, anni trenta. Rannulph Junuh, è un ex campione di golf reduce della I Guerra Mondiale. Distrutto dall’esperienza si ubriaca senza alcuna voglia di impegnarsi di nuovo. Viene organizzato un incontro fra i due più prestigiosi campioni d’America, ma occorre anche uno del luogo e qualcuno si ricorda di lui. Junuh, depresso e disilluso, rifiuta. Ma una notte, uno strano individuo di colore di nome Bagger Vance appare nel giardino di casa, gli parla, gli dice di essere disposto a fargli da caddy. Le parole di Vance lo risvegliano e si iscrive alla gara. Per lui l’inizio è in salita, è ultimo con dodici colpi di svantaggio. Allora Vance gli parla della forza d’animo, delle capacità interiori, e Junuh si riprende, recupera e arriva ad una lunghezza. L’ultima buca viene giocata durante la notte. Nel buio il misterioso caddy, che lo ha aiutato a comprendere come attraverso il gioco si può capire e dare un senso alla vita, si allontana lasciando che il protagonista porti a compimento la sua partita. La grande partita è tutta una metafora: la fiducia in se stessi per lottare anche quando tutto sembra perduto, la risvegliata consapevolezza nelle proprie doti, l’impegno per la rinascita. L’intervento di Bagger Vance è un esempio di coaching a cavallo tra il “life” e lo “sport”. Proprio come nello sport, la vita dipende in massima parte dall’atteggiamento interno; dal saper rimuovere prima di tutto gli ostacoli interiori, le convinzioni limitanti, per far posto a punti di vista nuovi, considerazioni rivitalizzanti, consapevolezze profonde che si erano offuscate, senso del proprio valore, espansione delle capacità attraverso piani d’azione definiti, sfruttando al meglio le condizioni a disposizione. Quante persone anche apparentemente svantaggiate hanno raggiunto risultati incredibili attraverso una disposizione mentale idonea, una passione focalizzata, volontà, tenacia?
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