Giudizio ed errori

Senza gli errori e senza la giusta cultura che favorisce le persone a riconoscere il proprio errore, non si può creare sicurezza proattiva. Nel corso del convegno di ICF Italia dell’8-9 aprile, ho partecipato ad un intervento molto interessante sulleombre del coachingtenuto da Davide Melis, dove ci è stato proposto di fare un gioco che consisteva nello scrivere su di un foglio un’ombra, ovvero un argomento intimo che abbiamo osservato in noi e che in maniera potenziale ci può rendere meno efficaci sia come persone che come coach, nel momento in cui non lo avvicinassimo e non lo prendessimo a braccetto per camminare con lui. L’argomento era personale e sul foglio avrei potuto scrivere molte cose, ma tra tutte quelle che mi sono venute in mente ho scelto ilgiudizio. Il giudizio è un tema a cui spesso ho dato molto spazio in sede di formazione nello svolgere i Team Resource Management in ambito sanitario oppure i Crew Resource Management in ambito scolastico dove i giovani piloti, ancora senza ali, affrontano i primi passi verso la professione. In ambito aeronautico ilgiudizioè strettamente legato all’erroree alla gestione dello stesso. Se ci soffermiamo a pensare, gli errori che ciascuno di noi fa durante la vita quotidiana sono innumerevoli. Nel tempo, come esercizio, ho sviluppato piacere nel pensare che appena mi alzo la mattina inizio afare errori, in questo modo consento a me stesso di darmi l’opportunità di farne altri ancora a condizione di poterli evidenziare, per poterne far tesoro. Quando ero piccolo, nel mio ambiente, l’errore era molto sottolineato egiudicatoe tutto questo mi faceva tendere a nasconderlo. Lo mettevo sotto il tappeto e cercavo di dimenticarlo. Se sbagliavo non ero perfetto, se nessuno sapeva che avevo sbagliatoapparivoperfetto. Se studiavo e andavo male ad una interrogazione ero ben lontano dal raccontarlo a casa, le conseguenze sarebbero state emotivamente troppo pesanti da gestire! Meglio scappare, rimandare, ignorare. L’errore è una brutta bestia per la nostra cultura e tutto o quasi, dipende dal giudizio che ne consegue, da come ci si sente dopo esser stati giudicati dagli altri. Mentre proviamo a costruire noi stessi in termini di relazione verso gli altri, noi tendiamo a nascondere i nostri difetti e anche questo lo facciamo perché altrimenti pensiamo di essere giudicati. E io da questo punto di vista, in gioventù, ero messo proprio male! Non ha molto senso star qui a raccontare tutto il mio percorso su come mi sono affrancato dall’esercizio delgiudizionei confronti del prossimo, anche perché qualche passettino lo devo ancora fare, tuttavia un evento particolare lo vorrei raccontare. Mi è accaduto in fase di addestramento iniziale mentre ancora ero un pilotino acerbo ed è un fatto che mi ha aiutato ad uscire fuori dai mieiparadigmie che ha rimbombato in me come solo unadomanda potentenel coaching sa fare. Ero a Vero Beach Fl, era il gennaio del 1993 ed ero teso, nervoso e triste perché a causa degli scandali di tangentopoli l’azienda per cui oggi lavoro e che mi aveva avviato all’addestramento, aveva deciso di sospendere l’attività della scuola di volo per la seconda volta. Per la seconda volta, dopo due anni di attesa mi trovavo di nuovo con una prospettiva diversa da quella che avevo avuto fino a pochi giorni prima. Decisi, quindi, di chiedere un prestito a mio padre spiegandogli che se non avessi fatto le ultime quattro missioni di volo sarei tornato in Italia senza nulla di concreto in mano. A quel punto ero anche indebitato! Le missioni consistevano nel preparare un volo, fare delle manovre nello spazio aereo dedicato, atterrare e poi mettersi con il proprio istruttore in aula ad ascoltare ildebriefing, una pratica simile alfeedbackdel coaching, un momento di crescita per comprendere cosa si è fatto e cosa si poteva fare meglio. John, il mio istruttore, era un ex pilota della US Navy di F14, il famoso Tomcat di Top Gun, e dopo la seconda missione insieme, in sede didebriefing, mi disse: “Filippo hai un buon livello di performance, hai fatto un ottimo lavoro fin qui, c’è solo un altro passo che devi fare per completare il tuo addestramento e diventare un professionista del volo.Devi imparare ad accettare il fatto che fai degli errori. Io avevo lo stesso problema da giovane e il mio istruttore mi suggerì una tecnica che uso ancora: visualizza l’errore, prendilo con la mano, portalo di fronte ai tuoi occhi, osservalo, pensa a come avresti potuto evitarlo e poi fai il gesto di buttarlo dietro le spalle”. Io ascoltai questodebriefinge dalla missione successiva iniziai a fare precisamente quello che mi aveva suggerito il mio istruttore, il mio maestro. Ci misi molto tempo per abituarmi a questo nuovo approccio all’errore e la mia tendenza a patire l’errorecome se fosse un’onta continuò ancora per molti anni, tuttavia ciò non mi accadeva più mentre volavo. Lì, in quel contesto, riuscivo a gestire l’errore per farne tesoro, per farlo diventare un valore. In ambito aeronautico la cultura dell’errore e l’assenza di giudiziosono la base per creare un ambiente sicuro, dove la sicurezza del sistema è l’obiettivo. Senza glierrorie senza la giustaculturache favorisce le persone a riconoscere il proprio errore per poterlo registrare e categorizzare e quindi evitare o mitigare, non si può creare sicurezza proattiva. Ilgiudizio, quella cappa potente che si crea quando qualcuno sta cercando di introdurre il proprio pensiero nei tuoi comportamenti, nei tuoi processi, nel tuo lavoro e nella gestione dei tuoi errori, è un elemento che porta la persona a chiudersi in se stessa, a nascondere gli errori e a non fare pur di non sbagliare. Ilgiudizioda solo è in grado dideresponsabilizzaree blocca il sistema, qualsiasi esso sia, anche se si parla di sistemi non legati alla sicurezza delle operazioni di volo. Nell’esercizio di Davide sulle ombre nel coaching ho confermato l’idea che ilcoachingha delle similitudini consistenti con il mondo professionale da cui provengo e che la gestione delle ombre è come la gestione di un’ avaria a bordo: è necessario prenderne coscienza per gestirla piuttosto che ignorarla e lasciar lavorare i meccanismi automatici che spesso portano lontano dalle soluzioni.
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