La capacità di pensare in grande
Alleata o nemica dei propri progressi?

“Il punto non è ridimensionare il proprio desiderio di realizzazione ma la rigida e intransigente tendenza a giudicare il potenziale di cui si è portatori”
E’ da tempo che la mia riflessione adora soffermarsi sull’osservazione di una tendenza comportamentale che mi ha sempre incuriosita: la capacità di pensare in grande, di vedere oltre lo scontato ed ovvio, immaginando scenari o finali mai scontati e negli ultimi anni di professione più volte, a fine di sessioni creative o particolarmente vivaci, mi sono soffermata a riflettere su quali fossero le caratteristiche chiave della persona capace di immaginare evoluzioni originali e creative per se sé stessa.
Clienti capaci di scardinare ovvietà o destini presumibilmente già scritti, mettendo in campo risorse e capacità sino a quel momento sottodimensionate o nemmeno prese in considerazione. Se è ovvio che sul campo d’azione devono necessariamente essere presenti creatività, spirito di iniziativa, coraggio e fiducia nelle proprie intuizioni e risorse è altresì vero a mio avviso che molte altre risorse è necessario alimentare per oltrepassare la fase del ragionamento logico, sequenziale, quello così detto verticale e approdare invece al territorio dell’ inventivo pensiero a balzi, radiante, che permette l’accensione di nuove possibilità da valutare e ponderare, spesso sommesse dietro il timore di esigere troppo da sé stessi o di eccedere nella tendenza sognante.
Eppure, è nel terreno del sogno, dell’intuizione, dell’immaginario più coraggioso che sono riuscita a intravedere alcuni segnali distintivi che a mio avviso raccontano la capacità di pensare in grande. Essa è spesso rivelata in quell’attitudine che mette spesso in dubbio le verità già scritte, anteponendo alla teoria accademica o alle etichette diagnostiche già scontate la domanda e la ricerca, svolta soprattutto attraverso l’osservazione di dettagli mai presi in considerazione prima.
È la capacità, ad esempio, di soffermarsi ad ascoltare il dettaglio di un’emozione provata senza basarsi sul senso dell’emozione globale bensì sfruttando minuti e minuti di riflessione per osservare il sotteso, l’imprevedibile che quello stato d’animo potrebbe contenere dentro di sé, il reale significato dei propri bisogni.
La capacità di pensare in grande emerge attraverso la tendenza ad anteporre il “perché no?” al razionale e ponderato spirito valutativo senza però tralasciarlo al momento opportuno, dando spazio all’analisi, all’ approfondimento, al calcolo maturo e facendo in modo di trasformare tali processi in alleati funzionali e non in limiti preventivi. È una capacità che si auto rivela quando, autonomamente, si domanda “cos’altro c’è o potrebbe esserci, che non riesco a vedere?” senza aspettare che l’azione o il comportamento diventino, a posteriori, portatori di esiti non precedentemente considerati, ascoltati, compresi, accettati.
La capacità di pensare in grande è custode delle proprie risorse come altre poche competenze, a mio avviso. Permette all’individuo di nutrire il proprio terreno di sviluppo con un fertilizzante potentissimo che, se adeguatamente utilizzato, può agevolare la crescita di nuove gemme e così fortificare il raccolto tutto.
Mi sono più volte soffermata a riflettere sulla possibilità che la tendenza a pensare in grande potesse divenire anche una trappola, in quanto spesso legata alla nascita di altrettante ambiziose aspettative rispetto alle proprie performance. Ho considerato però che il rischio di divenire vittime delle proprie attese può vivere sempre nella persona, anche in quella “che osa meno e sogna meno” poiché il punto non è ridimensionare il proprio desiderio di realizzazione ma la propria rigida e intransigente tendenza a giudicare il potenziale di cui si è portatori.
Se si entrasse in un’ottica di osservazione meno inflessibile e rigida su sé stessi a favore di un’osservazione piò orientata a valorizzare lo sforzo e l’impegno messo in campo dalla persona per raggiungere i propri traguardi di valore credo che incontrerei maggiori sognatori rispetto a quanti ne incontro oggi e con tutta onestà non vi è domanda che non ponga ai miei clienti, durante una sessione di coaching, che in fondo, almeno un po’, non cerchi di nutrire tale dimensione, quella della possibilità volta a (ri)conoscersi nella propria grandezza.
I commenti sono chiusi.