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Il valore della comunicazione

L’emotività crea o annienta le nostre energie: qual è il potere delle parole che usiamo e che ascoltiamo? Quando ci troviamo in situazioni di forte coinvolgimento emotivo viviamo in una sorta di realtà parallela che ci induce a vedere attraverso lenti particolari la nostra vita. Se l’emotività è data da emozioni positive, quali ad esempio quelle dell’innamoramento o dell’amore vero, la nascita di un figlio, un risultato rivoluzionario nella nostra carriera e cosi via, irroriamo la nostra quotidianità di energia prorompente che ha in se’ la forza creatrice, quella in grado di generare opere meravigliose. E’ un’emotività costruttiva, dirompente. Catalizzatrice. Inconsapevolmente brilliamo di luce e nel rapportarci con gli altri emaniamo la forza della serenità. Ogni gesto, ogni evento, anche il più difficoltoso, viene calibrato e affrontato con la spregiudicatezza del saperlo gestire al meglio e la quotidianità ci appare ,come d’incanto, meravigliosamente bella. I colori, le giornate, i sorrisi delle persone che incontriamo, gli sguardi che riceviamo sono completamente rivestiti di un filtro magico che li rende migliori. All’esatto opposto, se quell’emotività che proviamo è data da fasi particolarmente difficili della nostra esistenza, quali ad esempio un momento di forte stress, condizioni difficili familiari, problematiche serie da affrontare, ci assoggettiamo agli eventi indossando delle lenti protettive, talvolta scure, in grado di deviare la rifrazione del sole al punto di vedere il buio in ogni cosa. Le stesse giornate perdono di luce, i colori perdono vivacità, i sorrisi delle persone non li notiamo o addirittura ci infastidiscono e gli sguardi altrui ci appaiono inopportuni, a volte. Quella stessa emotività che in una condizione crea, nell’altra annienta le nostre energie. Quale valore hanno le parole, la comunicazione tra persone, in tutto questo? Ognuno affronta in modalità differenti condizioni di questo genere. Per taluni assume forma primaria la comunicazione: ogni emozione, ogni stato d’animo viene riversato negli altri attraverso un’ eloquio significativo e continuato, diretto e trasparente. Il desiderio primario è quello di trasmettere attraverso le parole; la necessità di esternare i propri pensieri diviene la prima forma di approccio con gli altri. Il focus è orientato alla parola, allo scambio, all’ ascolto seppur non sempre condiviso. Per altri affrontare la propria emotività significa invece assumere condizioni di chiusura; la comunicazione si fa schiva, la voglia di condividere si attenua, la volontà di esternare i propri pensieri si affatica e i rapporti comunicativi divengono di circostanza o legati all’indispensabile. Ognuno affronta i suoi stati d’animo con le capacità che ha a disposizione, attraverso le lenti che sente migliori per quel “SUO” momento di vita, ma ciò che rende affascinante e carica di passione la fase emotiva che si attraversa è la sorpresa che ognuno di noi, prima o poi, sperimenta: quella di incontrare tra la gente, nel momento più inaspettato, degli occhi diversi che ci trasmettono qualcosa di significativo per noi. Occhi che non giudicano, ma che accolgono magari, senza nemmeno saperlo. Occhi ai quali si sente il desiderio di volersi affidare. Occhi che ci trasmettono quello di cui abbiamo bisogno in quel preciso momento della nostra vita. Possono essere occhi sconosciuti che ci regalano silenzio o sorrisi, compiacenza o sfida, comprensione o sufficienza: occhi che entrano senza saperlo nel nostro stato d’animo assumendo un ruolo attivo nella nostra percezione. In una sessione di coaching, la mia cliente li ha definiti “gli occhi della vita”, quelli che ti fanno sentire sollecitata a riemergere se in un momento di difficoltà, anche solo richiedendoti un sorriso forzato, e sono quelli che ti fanno sentire legato in piena empatia al resto del mondo, quando ti sfiorano nelle fasi di energia alta. Attraverso un buon lavoro di squadra, il coach e il coachee scoprono che la differenza è sempre data dall’osservare la realtà attraverso molteplici punti di vista; il coach non giudica quale sia il migliore e il più funzionale ma lascia che il suo cliente lo riveli a se stesso fornendogli quegli occhiali necessari a vedere la luce della realtà nel modo più oggettivo, sempre.

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