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Le comunicazioni senza cuore

Cosa avviene quando ci sentiamo feriti e soprattutto come traspare nella nostra comunicazione? Molto spesso le comunicazioni diventano difficili quando le emozioni dell’ascoltatore, del parlante o di entrambi, non vengono rispettate. E’ proprio in quei momenti che avere una modalità mindful per affrontare efficacemente la comunicazione risulta più importante. In queste situazioni il bisogno di difenderci prevale sul bisogno di comunicare e lo scambio viene limitato, oppure chiuso, per permetterci di portare avanti la nostra difesa. Ma cosa avviene quando ci sentiamo feriti? E, soprattutto, come traspare nella nostra comunicazione? Come la influenza e quali strade possiamo avere per trovare una diversa modalità di comunicazione? Lo schema difensivo nella comunicazione Quando ci difendiamo, perché abbiamo ricevuto – o subìto – una comunicazione per noi difficile, attiviamo 4 modalità comunicative che hanno un effetto sulla qualità del nostro scambio sia relazionale che comunicativo. La prima è che attiviamo una modalità di biasimo ( non mi merito questo); la seconda è che iniziamo a dividere (guarda cosa mi stai facendo) lo spazio tra noi e l’altro; la terza è che iniziamo a proiettare ( è tutta colpa tua) sull’altro una delle nostre “storie”, una delle nostre“certezze tossiche”; e, infine, iniziamo uno schema di vendetta ( se pensi di passarla liscia ti sbagli). Il biasimo ha la funzione di coprire il dolore che abbiamo appena provato. In questa fase perdiamo il contatto con i sentimenti di tenerezza e affetto nei confronti di noi stessi. Entriamo in una zona rossa della comunicazione. La prima cosa che dovremmo fare è fermarci e accogliere, anziché biasimare, quello che è appena avvenuto. Possiamo biasimare gli altri quanto vogliamo ma il problema rimane e biasimando non ci permettiamo di conoscere la vera dimensione della difficoltà. A volte in queste situazioni iniziamo una comunicazione triangolare. Ossia parliamo con una terza persona di ciò che è accaduto cercando di convincerla dell’ingiustizia che abbiamo subito e costruendo una configurazione triangolare che complica ulteriormente la situazione. Il passaggio successivo rispetto al biasimo è quello di dividere noi stessi dal nostro interlocutore. Iniziamo a definire le nostre qualità in contrapposizione alle sue e spesso passiamo a delle generalizzazioni contraddistinte dalle parole “mai”, oppure “sempre”. Questa è la fase in cui iniziamo a perdere il contatto con i sentimenti di tenerezza e affetto nei confronti dell’altro che diventa solo un oggetto che ci ha “tagliato”, “ferito”, “contuso”. Inoltre iniziamo a costruire una barriera tra noi e l’altro che inizia a ledere il senso di connessione relazionale. A volte la reazione è così forte che possiamo tagliare la connessione anche con le persone che riteniamo vicine al nostro aggressore, anche se non sono state direttamente coinvolte nell’episodio e anche se non lo conoscono nemmeno.In questa fase è essenziale prevenire il formarsi di questa barriera, che con il tempo rischia di essere difficilmente eliminabile. Lo possiamo fare iniziando a “mischiare le cose”. Per esempio possiamo iniziare ad includere anche episodi positivi che abbiamo avuto con quella persona, oppure aspetti positivi della sua personalità. La comunicazione senza cuore – ossia la perdita di sentimenti teneri nei confronti di noi stessi e dell’altro conseguente ad una ferita comunicativa – ci porta direttamente alla nostra personale esperienza di rifiuto. Per quanto la nostra vita possa essere stata buona, è difficile non aver mai incontrato una esperienza di rifiuto. La difficoltà comunicativa riaccende quel doloroso serbatoio della nostra storia personale e mette in scena uno dei films che sono a disposizione. Diventa essenziale quindi riportarci al presente. Vendetta, tremenda vendetta “Questo è certo: un uomo che alimenta la vendetta tiene fresche le sue ferite, che, altrimenti, guarirebbero e lo cambierebbero” Sir Francis Bacon L’aggressione più distruttiva è quella che facciamo quando ci diamo il permesso di punire qualcuno per il dolore che abbiamo provato. Ci dimentichiamo dell’effetto domino prodotto dalla vendetta e ci dimentichiamo che il nostro interlocutore è, come noi, un essere umano, e non un oggetto senza cuore. Soffrirà per la nostra vendetta e, se ci assomiglia, porterà avanti la sua vendetta. Ci sono pochi antidoti per la vendetta: forse uno solo. Una parola difficile da pensare e ancora più difficile da scrivere o pronunciare. Perdono. Quando accettiamo le parti di noi che consideriamo imperdonabili, possiamo anche accettare la piccola ingiustizia subita nel presente considerando il beneficio che ne può derivare. Il perdono, per essere autentico richiede un passaggio fondamentale, quello che ci sposta dalla visione personale alla visione relazionale delle cose, riconoscendo il nostro bisogno di connessione e la nostra interdipendenza gli uni dagli altri. Diventa quindi un atto che nasce dal profondo desiderio di riportare equilibrio ed integrità nella nostra vita e nelle nostre relazioni.

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