Stress lavoro-correlato: formalità o coscienza?

Ho partecipato di recente ad un seminario sullo “stress lavoro-correlato”. Ad onor del vero, non conoscevo nulla dell’aspetto legislativo legato all’argomento, ed ero stata chiamata a partecipare per illustrare il contributo che il coaching può dare in azienda a tutti i livelli, con riferimento allo specifico tema. Ma cosa si intende per “stress lavoro-correlato”? Il focus è concentrato su quello che viene tecnicamente chiamato “distress” [1], stress negativo che sottopone la persona a continui stimoli ambientali che possono modificarne o comprometterne l’equilibrio psicofisico. Viceversa l’“eustress”, o stress positivo, produce stimoli ed energia a disposizione delle attività che si svolgono. Secondo dati forniti dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e Salute sul lavoro, un lavoratore su quattro soffre a causa del distress legato all’attività lavorativa. Questo provoca problemi di salute, assenteismo, contenziosi, decremento della produttività individuale e di conseguenza della produttività aziendale. Quale è la situazione in Italia? In questo periodo lo stress lavoro-correlato è di grande attualità, ma ciò non accade perché abbiamo realmente maturato una coscienza che ha prodotto la necessità di affrontare il tema, bensì in seguito al recepimento di un accordo europeo del 2004, da cui è nato il DL 81/2008, ed infine la circolare 23962/2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che ha reso obbligatorio l’avvio delle attività di valutazione del rischio. Qualche azienda ha quindi cominciato a distribuire questionari diversamente formulati ai suoi dipendenti, per raccogliere dati sui fattori di stress. In base all’esito delle attività di valutazione svolte, dovranno essere previsti piani di intervento al fine di rimuovere o mitigare i fattori di stress nello specifico contesto lavorativo. La normativa citata ha impiegato ben sei anni soltanto per indicare “un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati” [2]. Ciò evidenzia la poca sensibilità al tema e soprattutto alle conseguenze a livello individuale, corporate e sociale. Il processo di valutazione del rischio di stress necessita di consapevolezza, sia delle aziende che delle risorse umane impiegate, per poter attuare dei cambiamenti congruenti. A tal fine sono necessarie informazioni diffuse ed accessibili e analisi serie ed approfondite rispetto alla organizzazione aziendale, alla gestione delle risorse umane e al clima relazionale. Tutto ciò fa nascere in me spunti di riflessione e alcune domande. Osservo che, nel citato accordo europeo del 2004, la definizione dello stress lavoro-correlato viene così riportata: “ disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale conseguente del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro”. Mi domando se nell’affidare compiti, richieste e ruoli, abbiamo formato i nostri collaboratori per tali compiti, ci siamo assicurati che abbiano le competenze necessarie, abbiamo dato supporto e motivazione, o se stiamo chiedendo loro di raggiungere obiettivi irrealizzabili in condizioni temporali e ambientali impossibili o estremamente pressanti e stressanti! Mi domando se il clima relazionale sia tale da permettere scambio, condivisione e supporto dei leader aziendali verso i collaboratori, e dei collaboratori verso i leader, o se il lavoro scorra quotidianamente attraverso universi relazionali paralleli e separati che troppo spesso non si incontrano. Noto anche che la valutazione preliminare del rischio viene effettuata dallo stesso datore di lavoro : come può non cogliersi un certo conflitto di interessi? Se sommiamo a questo il fatto che è solo dall’esito di tale valutazione che deriveranno eventuali interventi correttivi ecco che, dal mio punto di vista, il conflitto aumenta. Ulteriore elemento che mi fa riflettere sono gli indicatori sui quali si basa la valutazione preliminare del rischio divisi tra “eventi sentinella”, “fattori del contenuto del lavoro” e “fattori di contesto del lavoro”. In particolare tra gli eventi sentinella leggo di assenze per malattie, sanzioni, frequenti lamentele formalizzate, contenziosi. Eventi tutti che rappresentano la punta dell’iceberg: generalmente è solo dopo costanti, ripetute e prolungate esposizioni allo stress da lavoro che tale stress si esprime in un contenzioso o in assenze continuative. Ma dove è l’attenzione a tutti i fattori quotidiani che, se affrontati preventivamente, possono evitare di arrivare a manifestazioni di estremo disagio? Nel frattempo ho fatto un sogno. Ho sognato che le valutazioni sullo stress lavoro-correlato non fossero solo preliminari, ma progressive, costanti, approfondite e declinate sotto tutti gli aspetti di impatto individuale e di gruppo. Ho anche sognato che il coaching fosse “selezionato e assunto” dai datori di lavoro pubblici e privati per ricoprire il ruolo di speciale figura professionale integrata nei piani strategici per la riduzione del livello di stress lavoro-correlato collegati al clima aziendale, alla comunicazione e alle relazioni interpersonali. Ho sognato di entrare nei processi interni, ed organizzativi aziendali con il compito specifico di trasformare attraverso il coaching il distress in energia positiva da dedicare alla costruzione e allo sviluppo degli obiettivi aziendali, attraverso i protagonisti del cambiamento: le persone. Fonti: [1] Vedi. “Sindrome generale di adattamento” di Selye [2] Circolare 23962/2010 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
I commenti sono chiusi.