Quando il coaching corre in aiuto della consulenza
Le domande potenti che creano consapevolezza

La principale difficoltà che incontra un consulente aziendale nel primo approccio alla professione del coaching è comprendere la distanza che separa le due discipline, le differenze che costringono a rivedere in maniera profonda il proprio mindset e che fanno cadere tutti i dogmi e le convinzioni del “buon consulente” sotto il peso dei rigidi principi del coaching, sostituendoli con inediti modi di relazione e di supporto al cliente.
Svestire i panni del consulente per indossare quelli del coach richiede la necessità di abbandonare l’idea che il consulente ne sappia più del cliente, che sia portatore di conoscenze sul settore, di metodologie, di tecniche e strumenti in grado di individuare le migliori strategie per affrontare le problematiche aziendali. Richiede, ancor più, la necessità di rendersi conto che non è permesso fornire soluzioni di alcun genere.
Approfondendo la conoscenza del coaching, il consulente scopre come il tradizionale rapporto cliente-fornitore debba riconfigurarsi in una relazione di partnership in cui il coach risponde unicamente della corretta gestione del processo di accompagnamento, mentre al cliente (al coachee, sarebbe meglio dire) competono le responsabilità circa l’individuazione della soluzione al problema, delle risorse a cui attingere, delle azioni da attivare e, infine, dei risultati da conseguire.
Un passaggio non da poco, che all’inizio obbliga ad accettare in modo quasi fideistico e senza incertezze il fatto che il cliente abbia già in sé tutte le risposte e le risorse necessarie, e che necessiti unicamente di un accompagnatore, un buon compagno di viaggio in grado di fargli trovare da solo la giusta via.
Se è vero che la consulenza e il coaching rappresentano due mondi molto differenti e distanti, è anche vero che, in determinati contesti e con le necessarie cautele, può risultare estremamente utile applicare all’interno di interventi consulenziali alcune specifiche competenze del coaching.
È questo il caso di un progetto che vedeva coinvolto un gruppo aziendale che si era rivolto alla mia struttura per ridefinire vision, strategie, modello di governance e organizzazione. Un intervento articolato, reso complesso da un processo di ricambio generazionale che si protraeva già da tempo e che rappresentava, di fatto, un importante freno al cambiamento.
Da qui la decisione di dedicare due workshop all’esplorazione del tema del passaggio generazionale, coinvolgendo gli amministratori che sarebbero dovuti subentrare definitivamente al padre nella guida del Gruppo. Durante gli incontri, abbiamo evitato deliberatamente qualsiasi contributo di tipo consulenziale, scegliendo invece di guidarli lungo un percorso di autoconsapevolezza e di maturazione/assunzione di decisioni importanti.
Più in particolare, nel primo workshop abbiamo sottoposto agli amministratori alcune domande semplici ma potenti, di quelle che costringono a lunghe pause di riflessione, che aprono gli occhi, che svelano la strada e motivano a prendere decisioni: Cosa significa per il Gruppo procrastinare il passaggio generazionale? Che effetti avrebbe sui programmi e sulle attività del Gruppo? Come potrebbe impattare il passaggio generazionale sulla dimensione degli affetti familiari? Cosa significa per i fratelli affrontare insieme il cambiamento? Quali risorse avrebbero messo in campo per affrontare le eventuali resistenze al cambiamento?
A tali domande è seguito un giro di tavolo in cui ciascuno a turno, dopo un breve momento di riflessione, ha espresso la propria visione, riportando le esperienze e le competenze che si riconosceva e mettendosi anche in discussione rispetto al ruolo attualmente ricoperto, nell’esclusivo interesse del raggiungimento dell’obiettivo comune. Il primo incontro ha quindi avuto termine con l’invito ad incontrarsi nuovamente da soli per continuare il momento di confronto e riflessione iniziato insieme.
Nel secondo workshop abbiamo riscontrato un clima diverso, con i fratelli che esprimevano soddisfazione nell’essersi confrontati e aperti vicendevolmente (a loro dire, per la prima volta) e nell’aver ritrovato consapevolezza ed unità di pensiero, volontà ed azione. Soprattutto, abbiamo trovato delle persone senza più dubbi e fortemente motivate ad imprimere una forte accelerazione al cambiamento. Il passaggio immediatamente successivo è stato quello di lavorare insieme al fine-tuning del nuovo modello di governance, che non era quello imposto dal consulente (sebbene coincidente), ma quello che loro avevano elaborato autonomamente semplicemente seguendo i nostri stimoli e la nostra guida.
Un’esperienza molto gratificante e intensa, che ha rafforzato la mia convinzione che le tecniche del coaching possono rappresentare una grande risorsa per la consulenza, a condizione che vengano applicate nel giusto contesto, con rigore e nella consapevolezza che occorre sempre fare attenzione a separare bene i due ambiti di intervento.
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