Coworking. Condividere spazio, creare nuove energie

Condividere l’ufficio o la sala riunioni. Sempre più liberi professionisti trovano nel coworking soluzioni per lavorare e collaborare al meglio. C’erano una volta gli uffici. Ci sono ancora, è naturale, ma sono abbastanza diversi oggi e sono soprattutto più vuoti. Migliaia di professionisti, per i motivi più vari, sono usciti da una realtà collettiva e organizzata, per affrontare professioni autonome. Professioni che si svolgono in uffici più piccoli, nello studio di casa, sulla scrivania messa in un angolo del corridoio, in un garage risistemato. Che annullano le distanze grazie al web, ai social network, agli strumenti gratuiti di lavoro collaborativo presenti in rete. Anche la richiesta di queste nuove professioni è mutata: sempre più spesso l’attenzione si sposta dalla prestazione su misura, a vantaggio di skill come la conoscenza (knowledge workers) e la creatività (free lance). È in questo affascinante contesto di profonda trasformazione socio-culturale che si colloca la crescita e la diffusione del coworking, inteso come innovativa e conveniente forma aggregativa di produzione e lavoro. Ma cosa si intende per coworking? Con questo termine si definisce uno spazio di lavoro comune, un luogo di collaborazione e condivisione di ambienti, servizi e che diventano ancora più proficui se si condividono anche i valori. Il fenomeno è in crescita: secondo una ricerca pubblicata da La Stampa a dicembre 2014, solo da marzo a maggio 2014 sono stati mappati 20 nuovi centri. Il 53% dei coworkers sono freelance, il 29% imprenditori (startuppers); in maggioranza uomini, ma le donne sono in crescita del 5% ogni anno. Milano guida la classifica con 69 spazi di coworking (il Comune ha anche rilasciato speciali voucher per incentivare l’iniziativa) seguita da Roma con 23 centri. I vantaggi non sono solo economici. Anche se è chiaro che uno spazio di lavoro condiviso permette di parcellizzare, affitto, bollette e altri costi fissi, aderire al coworking, che sia per un’ora “una tantum”, o per mesi interi, porta i liberi professionisti a creare dinamiche di networking appassionanti, stabilendo rapporti personali che generano benefici per tutti, grazie all’incrocio di differenti punti di vista, storie, esperienze. Dai sociologi del lavoro sono stati individuati due modelli di coworking: il primo, più utilitaristico, comprende le strutture nate con lo scopo di ottimizzare l’uso delle risorse, abbattere le spese e superare i limiti incontrati da coloro che lavorano a casa (home worker). Il secondo, più innovativo, riguarda tutti i liberi professionisti che sono andate oltre questi principi mettendo insieme competenze differenti tra loro, per favorire cooperazione e partecipazione, magari con il fine di arrivare a realizzare veri e propri team di progettazione e produzione. L’obiettivo diventa allora quello di realizzare prodotti e servizi sfruttando il vantaggio competitivo tipici di una PLC (professional learning communities) un’organizzazione che aggrega e in cui si apprende, si sviluppa e si diffonde cultura di settore. Una versione moderna delle botteghe artigiane, delle corporazioni, dei cenacoli culturali in cui oltre allo spazio fisico si condivideva un tempo, formazione, informazione, conoscenza.
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