Team coaching e consulenza
Le coaching skills applicate alla gestione di progetti con team misti

La gestione di progetti di consulenza attraverso team composti da professionisti esterni e risorse interne aziendali determina in modo virtuoso il raggiungimento di molteplici risultati. Da un lato i consulenti si giovano di un esteso corredo di conoscenze per acquisire in tempi brevi una immagine d’insieme completa e fedele dei processi gestionali e della loro criticità. Dall’altro l’azienda si dota di soluzioni perfettamente integrate nel contesto di riferimento, accettate dall’intera struttura senza resistenze in quanto co-progettate insieme ai consulenti, con l’ulteriore vantaggio di offrire alle risorse interne coinvolte una opportunità di crescita delle proprie competenze. Queste ultime, infatti, partecipando in affiancamento ai consulenti, realizzano una innovativa esperienza di lavoro in grado di contribuire al rafforzamento delle loro capacità di problem solving e di team working e di arricchire il loro bagaglio di strumenti professionali.
In tale contesto, il consulente assume il ruolo di team leader e la piena responsabilità sul raggiungimento dell’obiettivo di progetto, mentre quello di crescita delle competenze delle risorse interne è lasciato alla capacità dei singoli di far proprie logiche, modalità relazionali, metodologie e tecniche adottati nel corso del progetto, senza che il consulente ponga quindi in essere azioni finalizzate ad agevolarne l’apprendimento. Da qui l’opportunità di rivedere in chiave critica il ruolo della consulenza per valutare nuovi approcci finalizzati a meglio supportare la crescita delle risorse aziendali, con l’obiettivo di fornire al committente un ulteriore importante risultato in aggiunta a quello di progetto: l’arricchimento cioè del patrimonio di competenze manageriali fonte del vero vantaggio competitivo dell’azienda.
Le coaching skills possono rappresentare, in tal senso, una importante fonte di ispirazione in grado di apportare un forte valore aggiunto, nella consapevolezza di non fare coaching ma di trarre vantaggio dall’applicazione di alcune abilità del coaching a specifiche fasi del processo consulenziale. Di seguito si propongono tre momenti del processo su cui è possibile agire, in particolare:
- la definizione delle regole di funzionamento del team, finalizzata a garantire una armonica ed efficiente gestione del lavoro in gruppo attraverso la proposizione ex-ante ai partecipanti delle regole organizzative e di comportamento a cui attenersi. In applicazione a quanto detto precedentemente, cosa cambierebbe se non fosse più il consulente a dettare le regole ma piuttosto il gruppo a darsele, attraverso proposte avanzate dai singoli e accettate dal team? Una tale modalità abiliterebbe due importanti benefici: riconoscersi e identificarsi nelle regole e, al tempo stesso, rilevare agevolmente eventuali comportamenti devianti da correggere. Il consulente, al pari degli altri componenti, concorrerebbe comunque alla formazione delle regole con la finalità di integrare quelle che non fossero emerse e che ritiene di valore per il buon funzionamento del team (come, ad esempio, l’accogliere gli interventi di tutti in modo aperto e non giudicante).
- l’osservazione delle dinamiche all’interno del team, finalizzata a rilevare in itinere eventuali elementi giudicati disfunzionali e, pertanto, da rimuovere. Cosa cambierebbe se questa non fosse più una prerogativa esclusiva del consulente, ma piuttosto un momento di valutazione e di consapevolezza per il team e i suoi componenti? Una scelta di questo tipo stimolerebbe il riconoscimento e la riflessione sui fattori che hanno recato danno (come comportamenti giudicanti, di controllo, neutrali, etc.), ma anche e soprattutto su quelli funzionali e virtuosi (come la fiducia, la collaborazione, la motivazione, etc.) che hanno contribuito in modo positivo. Ciò su tre diversi piani di consapevolezza: di chi ha agito, di chi ha subito un danno o un vantaggio da quel comportamento e, infine, dell’impatto che ha avuto quel comportamento sul gruppo, inteso come unica entità.
- la restituzione dei feedback, finalizzata a informare la committenza sui risultati intermedi e finali del progetto, nonché sulle capacità dimostrate e le competenze agite dai singoli partecipanti. Cosa cambierebbe se, in aggiunta ai feedback alla committenza, si introducessero quelli al gruppo in merito alle modalità che hanno funzionato e quelle invece che non hanno funzionato? Un tale approccio consentirebbe ai partecipanti di capire cosa può essere applicato con successo in contesti simili e cosa invece deve essere modificato o abbandonato. Ci si riferisce, ad esempio, ai feedback in merito alle modalità adottate per l’analisi, l’assunzione delle decisioni, la gestione del processo, lo sviluppo del pensiero creativo. Le restituzioni devono essere chiare e circostanziate, ossia collegate agli specifici eventi a cui si riferiscono, in modo da essere agevolmente e concretamente riconoscibili da tutti.
Nei tre casi, il consulente passa in secondo piano, assume il ruolo di supporter del gruppo, lo stimola a riflettere, ad assumere consapevolezze, lo sollecita a trovare da solo le proprie risposte attraverso domande come: “Quali regole vogliamo darci per lavorare al meglio? Oggi è accaduto questo, che conclusioni ne traete? Abbiamo raggiunto questa decisione, cosa lo ha consentito?”. Forte della convinzione che ogni gruppo si compone di individualità diverse la cui unione genera un valore che è sempre maggiore della somma delle parti, e che ha in sé le capacità e le risorse necessarie per affrontare qualunque sfida. E che occorre solo crederci. Con fiducia.
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