PERCHÈ SCRIVO?

Come se la scrittura mi servisse a trattenere e non perdere piccoli tesori che altrimenti mi lascerei lungo il cammino… Domande che hanno come incipit: “cosa mi spinge a scrivere?” o “che significato ha per te?” presuppongono un ‘elaborazione progettuale, una fase propedeutica e preparativa che mi è lontana anni luce e che nulla ha a che vedere con quell’attimo unico e istintuale in cui nasce l’idea, e in cui, come un animale, fiuto la traccia, sento che è mia e la seguo. Poi, dopo, con l’adrenalina ancora in circolo, a volte mi chiedo il significato di tutto questo e con raziocinio indago sul cosa mi ha spinto a farlo. All’inizio è solo istinto senza premeditazione né mediazione. Perché scrivo? Forse perché in certi attimi il sentire è così potente. Forse perché certe volte mi sento come un vaso colmo. Forse perché mi illudo di poter regalare, con i miei neri, l’eco della bellezza che a volte mi travolge come un’onda. Allora scrivo, devo scrivere. Tutto nasce sempre da un’azione, dal corpo che attraversa uno spazio, dal respiro che prende aria dall’atmosfera, dal cuore che pompa sangue in ogni parte del mio essere, dai muscoli che compiono uno sforzo, dai sensi spalancati sul mondo e dalla mente che libera vaga. Già durante l’azione, le emozioni si trasformano in parole. Mi metto alla loro ricerca, le soppeso e le metto in fila una dopo l’altra, nel tentativo di descrivere innanzi tutto a me stesso ciò che mi circonda, ciò che sento. Scrivo per me stesso e non solo. Scrivo per fissare nel nero dell’inchiostro o nella bianca luce di uno schermo ciò che sento, per mettere ordine nella ridda di sensazioni accumulate, nel caos delle emozioni vissute. Come se tutto questo servisse, per confermare a me stesso, d’averlo veramente vissuto. Come se la scrittura mi servisse a trattenere e non perdere piccoli tesori che altrimenti mi lascerei lungo il cammino, senza più alcuna possibilità di riprenderli e portarli con me. Scrivere quindi è dare compimento a una pulsione che potente si manifesta, un’urgenza prima fisica che mentale, più istintuale che meditata. Nascono così infinite Piccole Storie* da condividere. PICCOLE STORIE #7 Ieri per l’intera giornata il cielo è stato oscurato da gonfie nubi nere. Si muovevano lente da ovest, riversando il loro carico di pioggia sulla terra inaridita dalla calura incessante delle trascorse settimane. Una danza di gocce a ripulire l’aria, rigenerandola per la nostra pelle, i nostri polmoni. Una sinfonia liquida ad allontanare quella sensazione umida e appiccicosa, quel soffio incessante di aria riarsa che ti svuota da ogni energia. Verso sera il vento ha ramazzato via l’ultima calura, da ogni angolo, strapazzando le nubi, disperdendole. Oggi, mentre gli ultimi vapori si dissolvono, giocando nelle valli e tra i crinali, salgo verso un cielo terso che incornicia i profili dei monti. Perché tornare sullo stesso sentiero? Perché salire ai piedi della stessa montagna? Perché rifare ogni volta lo stesso percorso? Perché ostinarsi a camminare, correre, scalare? Penso a questo mentre salgo ai piedi della parete Nord della “mia” Presolana. Perché fare cose folli e apparentemente senza senso? La medesima domanda declinata in mille differenti modi si ripete nella mia testa, mentre osservo i miei piedi avanzare sul ripido sentiero, nell’umidità del primo mattino, sulle rocce ancora scivolose, sulla terra pregna d’acqua e tra la vegetazione stillante mille gocce iridescenti. Forse perché viviamo, perché qui e ora semplicemente ci sentiamo vivi. Disarmato non riesco a trovare altra risposta e rifletto. Tornare e ritornare sui propri passi non è un segno di ostinazione, ma è sintomo del desiderio profondo di rivedere sempre lo stesso angolo di mondo e scoprire che è sempre differente. Scoprire che la bellezza delle cose è sempre lì per noi, forse è banale ma non è sempre scontato. Mentre il nuovo giorno si accende, il corpo madido di sudore fatica e la mente pigramente vaga, è stato magnifico salire tra i vapori sino sotto la Nord inondata dal sole. Sorrido, non ho più pensieri e domande, ora poche parole pulsano delicatamente in un angolo recondito della mente e come un mantra si ripetono. Scoprire che la bellezza delle cose è sempre lì per noi. Sorrido e scuoto la testa alzando gli occhi verso l’imponente parete, sedotto da un sentiero strano, una traccia labile tutta da decifrare che forse solo occhi avidi di bellezza possono vedere. * Piccole storie #, sono brevi editoriali che aprono ogni numero della rivista “le Alpi Orobiche”, notiziario della sezione di Bergamo del Club Alpino Italiano, di cui Maurizio Panseri è il Direttore.
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