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La consulenza come relazione d’aiuto

Il pensiero sempre attuale di Edgar Schein

Nel corso della sua lunga carriera di accademico e di consulente, Edgar Schein, classe 1928, psicologo statunitense esperto di sviluppo organizzativo e Professore emerito alla Sloan School Of Management del MIT, ha esplorato da diverse prospettive il tema della consulenza, fino a proporne una nuova modalità realizzativa: la consulenza di processo o anche detta generativa.
Per comprendere il pensiero di Schein, è necessario partire dalle sue considerazioni in merito alle tradizionali modalità di approccio alla consulenza. Un primo modo, da lui definito “esperto”, vede il cliente che riconosce di avere uno specifico problema e che si rivolge al consulente affinché lo risolva; perché tale modalità funzioni, è necessario che il cliente sia in grado di effettuare una corretta diagnosi del problema e che riesca anche a trasferirla in modo chiaro al consulente. Un secondo modo, che definisce “medico-paziente”, vede il cliente che si rivolge al consulente affinché individui il problema e lo risolva; in questo caso, il cliente delega al consulente anche il compito di diagnosticare la malattia, oltre che di trovare la cura.

In entrambi i casi descritti, il consulente occupa una posizione di forza e di superiorità, in quanto esperto chiamato a risolvere un problema, mentre il cliente vive una situazione di debolezza e di disagio, che discende dalla sua incapacità a risolvere il problema. Tali condizioni, secondo Schein, espongono a delle possibili conseguenze disfunzionali. Il consulente, infatti, dall’alto della sua posizione di esperto, può essere indotto a valutare con leggerezza e superficialità la realtà del cliente e ad applicare soluzioni già sperimentate con successo in casi simili, ma che mal si adattano allo specifico contesto del cliente o che lo stesso non percepisce come idonee a risolvere il suo particolare problema; ancora, il consulente potrebbe essere portato a vivere con apprensione il proprio ruolo di esperto (che non può non sapere e non può sbagliare), finendo così per assumere come propri i problemi e le ansie del cliente. Dall’altra parte, il cliente può vivere male la situazione di superiorità del consulente, incaricato di sopperire ad una sua incapacità nel risolvere un problema, al punto di irrigidirsi e porsi in uno stato di difesa se non di rifiuto delle soluzioni proposte; in altri casi, potrebbe percepire il consulente come una presenza liberatoria, che lo solleva dalle sue responsabilità fino al punto di delegittimarlo dalla ricerca della soluzione.
A partire da queste considerazioni, l’autore ridefinisce il rapporto consulente-cliente e propone una nuova interpretazione del significato di consulenza.

Per Schein il rapporto di consulenza si basa su una relazione d’aiuto fondata sulla fiducia, l’accettazione e il rispetto reciproco; è una partnership che si sviluppa sullo stesso piano, senza disequilibri, in grado di produrre nel cliente (ma anche nel consulente) apprendimento e cambiamento. In tale contesto, la consulenza non si pone più l’obiettivo di risolvere i problemi del cliente, ma piuttosto quello di contribuire allo sviluppo delle sue competenze così che questi possa apprendere il modo che conduce all’individuazione e alla risoluzione dei problemi e possa, successivamente, riconoscerli e risolverli autonomamente. In altri termini, il fine ultimo della consulenza di processo è aiutare i clienti ad aiutare sé stessi.
Compito del consulente, quindi, è accompagnare il cliente nella risoluzione di un suo problema che gli appartiene fin dall’inizio dell’intervento e fino alla fine, rifuggendo dalla tentazione di impossessarsene e di fornire subito le risposte che ritiene più opportune. Ciò al fine di evitare sia l’individuazione di soluzioni che il cliente non percepisce come valide in quanto decontestualizzate rispetto alla sua realtà (valori, cultura, organizzazione, …) o più semplicemente perché “calate dall’alto”, sia perché non lo metterebbe nelle condizioni di apprendere il modo in cui comportarsi in analoghe situazioni future.

A corollario della sua definizione, Schein propone dieci principi base a cui il consulente di processo deve ispirarsi:

  1. Cerca sempre di essere d’aiuto. Il consulente deve porre l’interesse del cliente al centro di tutto e valutare costantemente la propria capacità di interpretare e poter intervenire sul contesto.
  2. Rimani sempre aderente alla realtà corrente. Il consulente, per essere d’aiuto, deve calarsi nel contesto del cliente, osservando senza pregiudizi e preconcetti la realtà in cui egli opera.
  3. Riconosci la tua ignoranza. Il consulente non può conoscere tutto e c’è sempre qualcosa da imparare; è importante ammettere di non sapere e dimostrarsi aperti a colmare le proprie lacune.
  4. Qualsiasi azione costituisce un intervento. Il consulente deve sentirsi responsabile di ogni azione e pesarne le conseguenze; anche il non agire può determinare delle conseguenze.
  5. Problema e soluzione appartengono al cliente. Il cliente non può essere sollevato dalle sue responsabilità sul problema e sulla soluzione; il consulente non può prendersene carico in modo esclusivo.
  6. Segui la corrente. Il consulente non deve imporre le proprie soluzioni, ma deve comprendere la direzione verso cui tende il cliente e proporgli quelle in cui lui si riconosce.
  7. La scelta del momento è fondamentale. Il consulente deve valutare la situazione giusta in cui agire, aspettando il momento in cui il cliente è disposto ad ascoltarlo e concedergli attenzione.
  8. Approfitta in maniera costruttiva delle occasioni. Il consulente deve cogliere le giuste occasioni per suggerire le proprie idee e soluzioni (questo principio bilancia quello “segui la corrente”).
  9. Tutto è fonte di dati, gli errori sono inevitabili, fanne occasione di apprendimento. Il consulente può sbagliare e non deve vivere l’errore con senso di colpa: l’errore costituisce fonte di apprendimento per conoscere meglio la realtà del cliente.
  10. In caso di dubbio, condividi il problema, parlane con qualcuno. Il consulente non sempre può sapere quale sia la soluzione migliore da prendere; in tal caso è utile condividere i propri dubbi e le scelte con il cliente o con un proprio collega.

Il modello della consulenza di processo proposto da Schein, per concludere, offre una interpretazione diversa della mission del consulente, arricchendola anche di sfumature che richiamano alcuni valori e principi del coaching. Sta alla sensibilità del consulente comprendere, a seconda del contesto, quale ruolo sia meglio assumere: se di esperto dispensatore di buoni consigli o di accompagnatore in un viaggio di crescita e di cambiamento.

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