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Il lenzuolo di Clelia

Una notte, nella quale la carta era finita, ecco l’intuizione geniale: “Se non posso più usare le lenzuola con il marito, allora le userò per scrivere questa storia” L’avevo cercato dappertutto, il libro. Non ero riuscita a trovarlo. Poi, sistemando la libreria della casetta in montagna ecco che il dorso scuro della copertina mi chiama. Lo prendo con un sorriso. È la storia di Clelia e del suo lenzuolo. Sfoglio con affetto le pagine e lo metto nella borsa. Voglio che lo legga Alessandro, amico e coach, perché questa storia è la storia di un talento nascosto che riesce ad emergere nonostante le avverse condizioni ambientali. Ma chi era Clelia e perché la sua storia è legata ad un lenzuolo? Clelia Marchi era una contadina nata nella campagna mantovana nel 1912 e morta nel 2006 nel paese dove era nata, cresciuta, e dove aveva lavorato la terra per tutta la vita. Era madre di 11 figli e legata moltissimo al suo sposo Anteo. Insieme hanno attraversato periodi di fame nera, di preoccupazioni, di guerra e ricostruzione, con la forza dei loro valori: la famiglia, l’onestà e la fede. Poi, ormai molto avanti negli anni, Clelia è rimasta sola. Anteo morto, improvvisamente, in un incidente stradale, i suoi figlioli, ormai adulti, lontani con la loro vita da spendere. Ed è allora, nella sofferenza estrema, nei momenti più dolorosi della vita che il talento, seppellito per anni, si affaccia quale bisogno di rinnovamento estremo, attraverso la scrittura. Clelia scriveva in un italiano dialettale ed a volte stentato, ma comprende come la scrittura del “sé”, possa diventare balsamo al dolore. E comprende come, lasciare il segno dell’unicità della sua vita, possa essere un atto d’amore verso se stessa e verso le persone care che ha avuto accanto. Ogni sera, per lungo tempo, prende a scrivere i suoi ricordi “belli e brutti” come lei stessa rammenta. Senza remore, senza infingimenti, senza dover abbellire una realtà cruda vissuta, comunque, pienamente. E scrive traendo nutrimento dalle immagini di Anteo e di Gesù che tiene sempre accanto durante questo lavoro di testimonianza. Una notte, nella quale la carta era finita, ecco l’intuizione geniale: “Se non posso più usare le lenzuola con il marito, allora le userò per scrivere questa storia”. Sera dopo sera, come un antico ricamo, prese a riempire il bianco del lenzuolo, con la penna e l’inchiostro della vita. Ed il lenzuolo candido prendeva vita vissuta. Da un semplice e vecchio lenzuolo diventava testimonianza reale di quella, che ora, solo ora, Clelia voleva rappresentare al mondo, perché tutti sapessero. Una volta conclusa quell’opera di forza e di luce straordinaria, accadde qualcosa di incredibile. Nel novembre 1989 un nipote di Arnoldo Mondadori, durante una visita nel paese di Poggio Rusco, paese natale del nonno, venne a conoscenza dell’opera di memoria d’amore di Clelia Marchi. Volle conoscere a tutti i costi la donna, comprendendo di trovarsi di fronte ad un’impresa letteraria di prim’ordine, un miracolo della tenacia e della creatività. Nel 1992, il lenzuolo diventò un libro con il titolo «Gnanca na busìa» (Neanche una bugia), a sottolineare il contenuto di una vita completamente autentica, non certo facile, ma ricca di un amore familiare messo a nudo senza nulla nascondere. E questo libro, nato dalla complicità di una donna innamorata e di un vecchio lenzuolo, ricamato da vita vissuta, è ora catalogato dalla Fondazione Mondadori tra i propri Best Seller. Questo racconto è frutto della suggestione provata davanti al lenzuolo/libro che racconta la storia di Clelia Marchi. Il lenzuolo è conservato ed esposto presso l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano Al genio di Albert Einstein si deve una frase piena di suggestione: “Ci sono due modi di vivere la vita. Uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che tutto è un miracolo”. Cosa volle dire? Tanti sono i significati possibili. Di certo, Clelia Marchi con la sua esistenza ha contribuito ad aggiungerne uno speciale. Guardando alla storia di Clelia ed alla sua opera letteraria si potrebbe concludere che si sia trattato dello sfogo emotivo di una donna sola che non avesse un diario tradizionale su cui scrivere: nulla di così miracoloso. Oppure, si può guardare oltre e scorgere altri significati. Clelia è stata capace di essere completamente autentica, di essere pienamente se stessa, di raggiungere, cioè, uno dei più grandi traguardi a cui tutto il lavoro di Coaching possa condurre. Dopo la morte del marito Anteo, Clelia ha sentito in sé l’urgenza di ascoltare se stessa e si è concessa questa possibilità. Con coraggio ed entusiasmo ha messo da parte i propri limiti, di età e di istruzione, per anteporre ciò che sentiva di dover compiere: lasciare qualcosa di sé al mondo. Ai coachee è spesso richiesto di riconoscere o scoprire i propri talenti, nel loro senso più ampio. Unici e irripetibili nella loro specifica combinazione e in relazione all’ambiente e al tempo, essi sono la preziosa dotazione di ognuno per realizzare pienamente se stesso in questa vita. Allo stesso modo, Clelia ha avuto la capacità di riconoscere che la sua storia personale e familiare di amore aveva qualcosa di peculiare e forte ed ha creduto che in ciò ci fosse del valore da esprimere. Come un coachee impegnato nella ricerca della propria realizzazione in rapporto a qualcosa di più grande di sé, anche Clelia ha trovato un senso più profondo e più ampio per la propria vita nel lasciare un testimonianza di verità (“Neanche una bugia”), mediante un inno di amore, umanità e semplicità. Come ad un coachee è chiesto di scoprire come farà a far funzionare le cose, ad aggirare gli ostacoli che potrà incontrare lungo il percorso, così anche Clelia ha saputo trovare il modo di portare a termine il suo “compito”. Ha messo da parte il pensiero che scrivere di notte fosse una fatica ed ha trasformato la notte in fonte di ispirazione e in momento di fede (le foto di Anteo e Gesù che la accompagnavano per tutto il lavoro). Nella grande limitatezza delle sue risorse materiali, ha usato il “pensiero laterale” per attingere a risorse inusuali. Così, un semplice lenzuolo ha perso la sua funzione originale ed è stato “recuperato” ed usato per tutt’altro scopo, diventando un potente mezzo di comunicazione. E chissà cosa avrebbe saputo immaginare se non avesse avuto neppure quello… Clelia ha usato le sue peculiari doti, quelle di “contadina” quale amava definirsi: amore e senso del dare e del darsi (una vita intera dedicata con passione e totalità al marito e ai figli ed al lavoro dei campi), umiltà, semplicità, pazienza, verità e capacità di scrivere. E non ha aspettato che le condizioni fossero perfette per fare quello che sentiva di fare. Non lo sarebbero mai state. Ha seguito il cuore ed ha agito, confermando un famoso aforisma che dice: “Chi aspetta che tutte le condizioni siano perfette per agire finisce per non agire mai”. Ed ha così compiuto il miracolo… Quale miracolo, dunque? Ha fatto qualcosa che forse nessuno poteva aspettarsi, che una contadina anziana e quasi analfabeta potesse fare. Ha testimoniato in un’opera letteraria la grandezza dell’amore familiare, della relazione con gli altri (la famiglia, prima, ed i suoi lettori, poi) e della verità; ha portato alla luce il valore della quotidianità e della semplicità, rendendole “mitiche”; ha affascinato migliaia di lettori, rappresentando un esempio di rispetto e amore per la vita tutta (i ricordi belli e brutti), di dedizione, di fede e senso dello scopo. Inoltre, come il successo del libro testimonia, in tanti hanno riconosciuto l’autenticità di Clelia e ne sono stati attratti, perché le persone davvero autentiche emanano una forza ed una luce straordinarie, perché tutti prima o poi sentono crescere un desiderio irrinunciabile di autenticità, di esprimere e realizzare la parte più profonda di sé. Così, Clelia ha compiuto anche un altro miracolo. Ha reso testimonianza ad una magnifica frase di Douglas Malloch, resa celebre da Martin Luther King: “Se non puoi essere una via maestra, allora sii un sentiero. Se non puoi essere il sole, allora sii una stella. Non è per le dimensioni che vinci o che perdi. Sii sempre il meglio di qualsiasi cosa tu sia”.|||

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