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Giochiamo?

Un elefante, un puzzle, un gruppo di insegnanti che gioca… un modo leggero per riflettere Un’aula composta di insegnanti in un orario post scolastico, con l’obiettivo di trasferire strumenti di comunicazione necessari e utili a veicolare contenuti didattici in un contesto disagiato! Sedie messe in cerchio, poche slide a segnare un fil rouge narrativo, domande coaching oriented, una lavagna a fogli mobili per raccogliere commenti e punti di vista. Ho cominciato con un puzzle collettivo perché potessero cercare una risposta alla più frequente delle obiezioni. La madre di tutte le obiezioni: è un impegno monumentale! Obiezione che ha precise subordinate: non ci riesco, non l’ho mai fatto, non è per me, eccetera. Un colorato elefante, composto di vari tasselli numerati. Ogni tassello è stato inserito in una busta sigillata. Scelti dodici volontari. A ognuno è stata consegnata la busta con la richiesta di non aprirla se non al via. Un nastro di partenza simbolico. La consegna è stata caricata di significati e attese (fa parte del gioco creare una narrazione partecipata, affabulatrice). Ogni pezzo unito all’altro avrebbe generato un insieme significativo, a loro scoprire il messaggio sottostante. Una volta aperte le buste e verificato il contenuto, ho chiesto ad alcuni di raccontare il proprio pezzo. Avevano un cartellone a disposizione e la colla. Gli altri partecipavano prendendo appunti su quello che vedevano ed eventuali risonanze. Un’iniziale confusione, un chiamarsi per numero “Chi ha il sette? Io ho il dieci!”. Infine il puzzle che prende forma e acquista significato. Un colorato elefante. Morale? L’elefante va tagliato a pezzi. Qualunque “grosso” problema può trovare una strada, una direzione, una soluzione se si frantuma in pezzi più piccoli dando quindi la possibilità di essere affrontati e risolti. Un approccio al problema che si trasforma in uno strumento narrativo e in un atto di comunicazione e di relazione. Uno strumento “multidisciplinare” esportabile in molti ambiti. L’elefante “incollato” è diventato il manifesto degli incontri successivi. Spezzare il sortilegio d’aula e la lezione frontale, far partecipare direttamente e in prima persona al “fare” formativo gli insegnanti erano solo alcuni traguardi da conseguire insieme. Gli insegnanti hanno re-agito alla proposta “giochiamo?” in modi diversi, come era immaginabile d’altronde! Ma l’elefante va tagliato a pezzi e…sono nate proposte didattiche “laterali”. Che cosa aveva significato per loro partecipare alla costruzione del puzzle? E come lo avrebbero potuto usare nella vita didattica? E ne immaginavano altre destinazioni? Cosa si portavano a casa? Alcune delle domande coaching oriented. Usarlo nel circle time ad esempio! E’ sembrato uno strumento ottimale per affrontare problemi di relazione, di bullismo e di integrazione. Per ogni singolo studente, scomporre un compito, un assegno in singoli “pezzi” per creare una prima mappa di attività, attività da svolgere anche in sottogruppi. Oppure l’utilità è stata individuata nel gettare un ponte tra “pezzi” comuni alle diverse materie, secondo un approccio pluridisciplinare/ludico. Scomporre in parti per generare nuove connessioni e punti di osservazione. A casa si sarebbero portati: un antidoto alla stanchezza, leggerezza, divertimento, ricerca della soluzione in gruppo, maggiore integrazione e la possibilità di usare in modo creativo strumenti che nascono come passatempi e basta! Usarlo in famiglia no? La proposta di una insegnante un attimo prima di chiudere. Già, perché no? NB: la platea non era molto numerosa per cui i 12 pezzi erano sufficienti a far lavorare la metà dei partecipanti. In aule numerose si possono creare più sottogruppi oppure usare un’immagine più frantumata e avere quindi più pezzi disponibili.

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