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Conoscenza tacita, coaching e Dr. House

La conoscenza “tacita” (il termine è di Michael Polanyi, che per primo lo ha usato in questa accezione nel suo libro “The Tacit Dimension”) è un concetto che si è fatto strada a partire dagli anni ’60, sulla base dell’osservazione, di grande interesse per i sistemi sociali e le organizzazioni, che esiste una dimensione di conoscenza che non è “esplicita”, nel senso che non è codificabile in modo “oggettivo” attraverso testi, manuali, flussi comunicazionali strutturati (per esempio lezioni scolastiche). È senso comune il fatto che le conoscenze di un individuo (nella sfera lavorativa e in generale) attengono a fatti scarsamente esplicitabili, come la comprensione di contesti complessi, mettendo in campo aspetti tecnici, intuizioni, sensazioni, e facendo leva su capacità che non possono essere comunicate, se non attraverso l’azione. Non c’è nulla di difficile o astratto in questo concetto: basta osservare un esperto a lavoro, sia esso un progettista, o una segretaria, o un pianista, o un muratore, per comprendere che le loro conoscenze vanno ben al di là, di quanto loro sarebbero in grado di spiegare in una comunicazione strutturata. Infatti, tradizionalmente, per imparare un mestiere si fa “apprendistato” (ovvero, per traslato, “coaching”), cioè si impara facendo (e sbagliando), ed osservando al lavoro, e non certo leggendo un manuale, o seguendo una lezione scolastica. Anzi, a ben vedere, la parte esplicita della conoscenza è la più banale, e meno rilevante per “fare la differenza” tra chi è mediocre e chi eccellente, in un certo mestiere. Diversamente dal mito illuminista della “Enciclopedia”, nella nostra società contemporanea la maggior parte della conoscenza si trasmette da soggetto a soggetto non solo per via scritta, né per tradizionale orale (sarebbe riduttivo), ma, potremmo dire, per “tradizione sociale”. Se l’umanità scomparisse in un istante, lasciando tutte le conoscenze esplicite a disposizione di una nuova “generazione X” di uomini che ripopolasse un secolo dopo la Terra, questi nuovi uomini non dovrebbero certo ripartire da zero, ma dubito fortemente che riuscirebbero ad esprimere (se non dopo molto tempo e sforzi) musicisti, matematici, archeologi, muratori. Mancherebbe la conoscenza tacita tramandata per socializzazione, di generazione in generazione. Con la socializzazione, inoltre, si “bypassa”, per così dire, il processo di esplicitazione: la conoscenza tacita non viene mediata, e quindi i classici strumenti di mediazione (in primis, le scuole) perdono il loro ruolo a vantaggio di processi di apprendimento spontaneo, sociale, esperienziale. Normalmente siamo abituati a riconoscere gli aspetti taciti della conoscenza con riguardo agli artisti, la cui produzione è associata comunemente ad un’idea di intuizione, di talento e di capacità non comunicabili, né comprensibili. Ciò che invece comunemente sfugge è che ogni mestiere ha i suoi aspetti “artistici”, anzi sono proprio quelli che, facendo leva sulle conoscenze tacite, rendono alcuni più capaci di altri nella pratica professionale. Un esempio molto efficace è quello del medico diagnosta: le sue conoscenze esplicite sono quelle di fisiologia, anatomia, patologia, comuni a tutti i medici (fermo restando le differenze nella preparazione scolastica), ma la diagnosi è un’azione di sintesi di informazioni, esperienze, intuizioni, e la capacità di eccellere in essa è strettamente tacita, e fa la differenza tra un luminare ed un “tecnico della medicina”, che applica procedure e routine a problemi analoghi. La serie TV di successo “Dr. House” è basata proprio sul personaggio di un diagnosta geniale ed, al di là delle semplificazioni e spettacolarizzazioni tipiche del linguaggio televisivo, mette in luce perfettamente la natura pseudo-artistica che la professione del medico può assumere, al punto che il protagonista viene vestito di caratteristiche fisiche ed emotive tipiche della figura dell’artista della stereotipia romantica (psicologicamente complesso e lacerato, fisicamente debole e diverso, intellettualmente incompreso ed isolato). Le sue intuizioni sono illuminazioni, salti logici, sintesi impreviste. Tacite nel loro prodursi, esplicite nei loro esiti. Fonte: Lucio Macchia “La strategia aziendale nei mercati complessi”, 2010 Franco Angeli.

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