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Brain Training: la forza della passione

Da anni sono un’atleta agonista e da sempre lo sport fa parte della mia vita. Allenamenti, rinunce, dieta controllata e le giuste ore di riposo. Sono pronta per la prossima sfida. Entro in campo, guardo l’avversario fisicamente inferiore e penso: “È cicciotto, pesante”, e noto dei capelli bianchi. Dai primi palleggi sembra non abbia grandi colpi, poca tecnica, un ginocchio fasciato. “Sarà una partita veloce” mi dico, “vincerò in poco tempo…” Invece il piccoletto si oppone alla mia tecnica superiore, offre resistenza ai miei colpi vincenti e mi innervosisco. La rabbia mi fa perdere il controllo, inizio a collezionare errori. Passaggi a vuoto dai quali fatico ad uscir fuori. Perdo fiducia in me stessa, e perdo una partita per la quale sulla carta ero io la più forte! Ma come è possibile tutto ciò? È proprio per cercare una risposta a questa domanda che mi sono avvicinata alla psicologia sportiva, mondo infinito dove sono proprio le emozioni, che transitano spesso nei nostri pensieri, a giocare brutti scherzi: i fattori psicologici giocano un ruolo determinante. Che la mente possa influire significativamente su ogni attività umana e quindi anche sullo sport è stato certamente chiaro fin dai primi Giochi Olimpici ateniesi. Molti sono infatti i manoscritti giunti fino a noi (Omero, Euripide, Pindaro, Pausania, ecc….) che spiegano come il destino di una competizione sportiva non dipendesse esclusivamente dalla prestanza fisico-atletica ma anche dall’astuzia, dalla strategia, dal coraggio e dallo stato d’animo. La mia curiosità cresce ed inizio un percorso di Coaching sportivo basato su tante letture e nuove teorie, nozioni e concetti chiave, ma soprattutto l’esperienza sul campo. Oltre all’allenamento fisico, la preparazione tecnica, mi affianco al giocatore e al suo staff e creo con lui una relazione che mi permetta di scoprire le sue risorse interiori. Ci concentriamo insieme sulle sue possibilità e sulle azioni, senza mai perdere di vista l’aspetto goliardico. Siamo orientati al futuro, ma ci focalizziamo sul presente, perché vogliamo raggiungere obiettivi specifici e non la risoluzione di problemi e conflitti passati. Non sono la psicologa del giocatore, non risolvo i suoi problemi e non fornisco soluzioni, ma lo aiuto ad affidarsi alle proprie intuizioni, alla ricerca del suo Focus (consapevolezza, sentirsi totalmente e pienamente concentrati, assorbiti e coinvolti in ciò che si sta facendo, senza l’intromissione di altri pensieri e/o emozioni) e a sviluppare le abilità necessarie nel minor tempo possibile affinché quel futuro si realizzi. Dopo aver gettato le basi per un rapporto sinergico di totale fiducia, e consapevoli della necessità di un periodo di cambiamento, decidiamo insieme la gestione del tempo, la focalizzazione delle proprie aspirazioni attraverso l’identificazione di obiettivi raggiungibili, consapevoli che è di fondamentale importanza l’armonia tra mente e corpo. Se dunque pensiamo alla nostra capacità e forza mentale come un albero, l’autostima ne costituisce sicuramente le radici. Chi non ne possiede a sufficienza sarà sempre carente di fiducia in se stesso, avrà poca motivazione, dovrà convivere con una serie di insicurezze che traspariranno nei momenti difficili della gara o quando avrà la necessità di chiudere la partita, il match o l’incontro. Quando si nutre fiducia nelle proprie possibilità ci si comporta diversamente rispetto a quando invece ci si giudica incompetenti, e ciò non è dipendente dal reale grado di capacità. La conclusione a cui è arrivato Albert Bandura – noto psicologo clinico e ricercatore – conferma che chi nello sport si vede meno bravo o meno adeguato ha effettivamente prestazioni inferiori a quelle che fornirebbe se il suo giudizio di autoefficacia fosse migliore: una previsione negativa su noi stessi può realizzarsi non tanto perché debba realmente verificarsi ma perché ci comportiamo in modo tale che si avveri. Il compito fondamentale di un coach sportivo è dunque lavorare sulle rappresentazioni mentali dell’atleta, sui propri modelli del mondo, sulla ristrutturazione del dialogo interno, sul concetto di se stesso. Egli cercherà di portare lo sportivo a toccare i propri limiti per superarli, a comprendersi meglio perché, prima che con l’avversario, dovrà vincere la gara con se stesso. La vittoria arriva quasi automaticamente quando lo sportivo utilizza in modo ottimale il suo potenziale. Sono percorsi spesso difficili, pieni di ostacoli da superare ma, come disse Michael Jordan, noto giocatore di basket: “Avrò segnato undici volte canestri decisivi sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi dalla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento partite. Trentasei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato, nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. “Nulla di grande è mai stato fatto senza una grande passione”, ed è la passione nell’aiutare qualcuno, che fa del suo trionfo il tuo trionfo, della sua gioia la tua gioia, nel momento in cui raggiunge l’obiettivo. Questo è il più bel feed-back che si possa ricevere.

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