Allenare le competenze

Quando una persona dimostra di saper svolgere bene il proprio lavoro viene definita competente. Il termine è spesso abbinato al suo esatto contrario: nel linguaggio comune, l’incompetente è colui al quale mancano specifiche capacità professionali. Una volta terminati gli studi universitari, chi ha la fortuna di trovare un’occupazione adeguata in tempi brevi, ritiene di meritarla sulla base della reputazione dei docenti della facoltà prescelta, o grazie al prestigio dell’università frequentata. Quando arrivano anche le lodi di chiusura e i baci accademici, si pensa davvero di essere all’altezza del ruolo richiesto. Come sostengono gli psicologi del lavoro Levati e Saraò nel libro : “Psicologia e sviluppo delle risorse umane nelle organizzazioni” , appare oggi opportuno considerare la competenza nelle sue componenti essenziali, ovvero come la somma di capacità, conoscenze ed esperienze finalizzate, realizzate in un contesto adeguato e sorrette dalla giusta motivazione interiore*. Accogliendo questa impostazione, ad esempio, è pensabile che un neo-laureato con il massimo dei voti di una prestigiosa università privata italiana venga preferito ad altri candidati – a parità di capacità attitudinali ed esperienze finalizzate – sulla base della prevalenza dell’elemento conoscenza. Ciononostante, non potrebbe considerarsi competente (secondo la definizione fornita dai due autori citati), chi non ha alcuna esperienza pratica né capacità – intese come attitudini, tratti del carattere – dimostrate. Analogamente, quando dei diplomati sono preferiti a dei laureati, può essere il fattore esperienza a prevalere, considerando le conoscenze acquisibili tramite opportuni interventi di formazione e sviluppo. La conseguenza anche in questo caso è quella di avere una risorsa umana “non competente”, anche se esperta del settore in questione. I due esempi citati sono emblematici del sistema di criteri alla base della valutazione dell’idoneità dei candidati a ricoprire un posto di lavoro. Conoscenze, esperienze e capacità, è raro che siano presenti in una stessa persona nelle fasi iniziali di uno sviluppo di carriera. Considerare il requisito delle conoscenze come fattore decisivo ai fini dell’esito di un processo di selezione, comporta ad esempio la creazione di graduatorie di merito sulla base del voto di laurea o di diploma, che il più delle volte è un indicatore di scarsa rilevanza ai fini dell’individuazione delle reali competenze del candidato: come sostengono gli autori del libro citato, non sempre la capacità di analisi di un 110 e lode è preferita** – per ricoprire un determinato ruolo – alla possibile visione d’insieme di chi si laurea con una votazione inferiore. Gli interventi professionali nell’ambito dello sviluppo delle competenze meritano adeguate considerazioni. Se sull’acquisizione e il miglioramento delle conoscenze si può agire con opportuni interventi di formazione, sul versante delle esperienze un percorso di coaching potrebbe essere pensato nell’ambito di un piano di carriera, all’interno di un’azienda e sotto la regia attenta della direzione del personale, come anche in percorsi autonomi di acquisizione di esperienze, anche extra-lavorative. Ma è sullo sviluppo delle capacità – e dei talenti sottostanti – che il coaching dimostra la sua più totale adeguatezza quale strumento principe utile a far conoscere, valutare e allenare potenzialità individuali spesso sopite, rivelando la sua massima efficacia in termini di risultati solo se agisce a partire dai tratti del carattere e senza forzare predisposizioni naturali e inclinazioni personali. Come afferma Paolo Terni citando lo studioso americano Howard, “Se il gap relativo a una competenza è da ascrivere ai tratti della personalità, allora l’intervento più appropriato è di tipo organizzativo, ovverosia una ri-collocazione della persona in questione”. “Non cercare persone di talento, cerca il talento nelle persone” (Alessandro Chelo) Fonti: * “ Psicologia e sviluppo delle risorse umane e delle organizzazioni”, pagina 40 di Levati – Sarao – Franco Angeli . “La competenza può essere definita come caratteristica intrinseca dell’individuo, appartenente alla dimensione psicologica , costituita dall’insieme articolato di capacità, conoscenze, esperienze finalizzate. Si esprime attraverso comportamenti e necessita, per esprimersi, dell’azione di motivazione e contesto. L’aspetto specifico del contesto , che impatta sulla nascita e sviluppo della competenza, è la cultura organizzativa.L’azione combinata di motivazione e contesto fa assumere alla competenza il suo carattere soggettivo di consapevolezza di possibilità di controllo sull’ambiente esterno”. ** Levati e Saraò – opera citata , pag. 120. A proposito della scarsa significatività dei dati isolati : “Che cosa ci dice un 110 e lode? Nella migliore delle ipotesi che la persona ha capacità di analisi ed è interessata al tipo di studi affrontato. Se il profilo di riferimento contiene invece come elementi chiave la sintesi e la visione d’insieme, c’è da domandarsi se il voto alto non diventi elemento discriminante in senso negativo”.
I commenti sono chiusi.