Spazio agli errori generativi

L’ameba ed Einstein procedono allo stesso modo, ma una muore mentre l’altro sopravvive. “Mamma ho sbagliato il compito di matematica”. “Bene, chissà quante cose avrai imparato!”. “Abbiamo perso un cliente per un mio stupido errore”. “Ottima occasione per evitare che accada ancora in futuro, parliamone”. Un ragazzo torna a casa da scuola con un brutto voto e la mamma non lo sgrida, anzi sembra quasi contenta, per l’inattesa fonte di apprendimento. Un impiegato si assume la responsabilità di un errore che ha avuto pesanti conseguenze e il capo sfrutta con ottimismo la situazione per capire come migliorare le procedure. Sono dialoghi realistici? Forse perle di raro autocontrollo e saggezza da parte di un genitore e di un capo particolarmente illuminati. Torno spesso su questo tema perché mi trovo costantemente ad affrontare situazioni in cui le persone tendono a nascondere gli errori, scaricano la responsabilità di un passo falso, si difendono e sfuggono i labirinti giudicanti costellati da dita puntate contro di loro. Parliamoci chiaro, quanti sono i docenti o i capi che applaudono gli errori come spunti creativi di nuova conoscenza per la classe o per i team di lavoro? Anche se vogliamo sorvolare sul detto popolare sbagliando si impara, mi permetto di scomodare Karl Raimund Popper che ricorre ad una efficace similitudine tra Einstein e l’ameba per valorizzare gli errori: “Nella scienza, come nella vita, vige il metodo dell’apprendimento per prove ed errori, cioè di apprendimento dagli errori. L’ameba ed Einstein procedono allo stesso modo: per tentativi ed errori e la sola differenza rilevabile nella logica che guida le loro azioni è data dal fatto che i loro atteggiamenti nei confronti dell’errore sono profondamente diversi. Einstein, infatti, diversamente dall’ameba cerca consapevolmente di fare di tutto, ogni qualvolta gli capiti una nuova soluzione, per coglierla in fallo e di scoprire in essa un errore: egli tratta o si avvicina alle proprie soluzioni criticamente. Egli cioè assume un atteggiamento consapevolmente critico nei confronti delle proprie idee, cosicché mentre l’ameba morirà a causa dei suoi errori, Einstein sopravviverà proprio grazie ai suoi errori.” (Epistemologia, razionalità e libertà, 1972) Sappiamo che per saltare in alto, occorre partire dal basso, che lo zero è un punto di partenza, e che lo sbaglio ha in sé la potenza del dubbio, della scoperta, dell’evoluzione, mentre la perfezione è un punto fermo, eppure l’ovvio non è scontato. Per la mia esperienza, non c’è azienda che non punti su persone in grado di gestire i cambiamenti, flessibili, resilienti, adattabili. Richiedono percorsi formativi per sviluppare queste competenze, sessioni di team coaching o team bulding, tutte pratiche eccellenti, tuttavia i risultati sostenibili si hanno solo quando si smette di temere di sbagliare e si apre lo spazio a svelare i percorsi mentali che lo hanno prodotto. E questo accade solo se la cultura aziendale abbandona il cappello del giudizio, per indossare quello della fiducia. Secondo l’epistemologo Giovanni Vailati, “Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire”.
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