Nel Flusso

Siamo nel flusso quando ci occupiamo di ciò che amiamo, raggiungendo uno stato di benessere e di felicità non necessariamente legato a quello della prestazione. Momenti magici, istanti unici. Gli atleti li vivono durante prestazioni atletiche brillanti, quando hanno la sensazione di volare sul terreno di gioco e ogni movimento riesce loro alla perfezione. Anche i musicisti, gli insegnanti, gli studenti, conoscono quella che viene definita “esperienza ottimale”. Uno psicologo statunitense di origini ungheresi, Mihaly Csikszentmihalyi, elaborò alcuni anni fa la teoria del flow, letteralmente “flusso”. Per essere nel flusso non è sufficiente provare una sensazione piacevole di rilassatezza o di benessere psico-fisico. Potremmo rimanere comodamente a letto, ma non vivere un’esperienza simile. Il flusso si caratterizza invece per il compimento di un’azione che mette alla prova le abilità individuali: una sfida. Per provocare uno stato di flusso essa dev’essere tale da consentire l’utilizzo delle nostre migliori capacità, competenze professionali o personali. Come disse Csikszentmihalyi a Daniel Goleman nel corso di un’intervista*: “il flusso è possibile in quella fragile zona che si trova fra la noia e l’ansia”. Nel coaching il termine sfida è adoperato di frequente. Uno dei ruoli del coach è quello di stimolare il cliente ad effettuare azioni migliorative, in grado di metterlo alla prova, così da fargli sperimentare l’esperienza di flusso. In particolare, una delle 11 competenze fondamentali del coaching secondo ICF, la n° 9, denominata “Progettare azioni”, indica il ruolo del coach come il soggetto in grado di “sfidare il cliente a studiare idee e soluzioni alternative, a valutare opzioni e a prendere le decisioni correlate”. Secondo studi recenti**, lo stato di flusso non può essere ottenuto con delle tecniche specifiche; quando, soprattutto in campo sportivo, si utilizzano i cosiddetti ancoraggi per richiamare particolari stimoli sensoriali connessi a precedenti esperienze ottimali, si trascura di considerare il flusso come una magia che va ben oltre uno stato psico-fisico ottimale. Le possibili azioni per risvegliarlo sono la messa in atto di specifiche condizioni perché esso possa manifestarsi. Si tratta della chiarezza degli obiettivi, della ricezione di adeguati feedback sulle azioni o prestazioni eseguite, della concentrazione massima rispetto alle azioni compiute. Ma deve trattarsi di una concentrazione spontanea; come sottolinea Daniel Goleman: “una concentrazione forzata – alimentata dalla preoccupazione – produce un aumento dell’attività corticale. Ma la zona del flusso e della prestazione ottimale sembra essere un’oasi di efficienza corticale, nella quale viene consumato un minimo di energia mentale”. Le applicazioni del flow in azienda sono state oggetto di una recente intervista di Csikszentmihalyi, nella quale l’autore sostiene come il concetto di sfida sia un elemento di differenziazione tra le aziende e all’interno delle stesse***. In alcune organizzazioni i dipendenti sono stimolati a prendere iniziative e messi nelle condizioni di non preoccuparsi del giudizio dei superiori, che si limitano a fornire preziosi feedback sul loro operato, lasciandoli così liberi di agire e di esprimersi liberamente. D’altro canto non tutte le persone sono propense ad accettare le sfide: il ruolo del manager assume così un ruolo sempre più delicato, avendo il compito di personalizzare il lavoro a seconda degli individui a sua disposizione. Siamo nel flusso quando ci occupiamo di ciò che amiamo, raggiungendo uno stato di benessere e di felicità non necessariamente legato a quello della prestazione. Dedizione totale a un unico scopo, in un’esperienza auto-telica nella quale la motivazione all’azione nasce dal piacere fine a se stesso senza pensare alle possibili conseguenze che essa potrebbe comportare****. In tale ottica il delicato ruolo dei coach è quello di stimolare nei propri interlocutori non già una generica esperienza ottimale, ma un flusso etico e responsabile, rispettoso delle persone e dell’ambiente su cui esso va a dispiegarsi e ad impattare. * Daniel Goleman: “Intelligenza emotiva” – Rizzoli Editore 1995 – pagina 119 – l’intervista di Goleman a Csikszentmihalyi per il New York Times è del 4 marzo 1986 **Come sostiene Maurizio Rossi nel documento intitolato “ FLOW: la psicologia dell’esperienza Ottimale” , per IF Formazione Napoli (reperibile in Internet): “Secondo alcune ricerche recenti (Muzio, 2004) è possibile intervenire sulle condizioni che predispongono all’esperienza flow (lavorare alla buona formazione degli obiettivi, fornire risposte e feedback chiari, legati in modo immediato, inequivocabile all’attività e alla prestazione svolta) mentre molto difficile (se non impossibile) è allenare al flow in quanto tale o l’individuo allo stato di flow”. ***Intervista di Francesca Gianoli e Annalisa Rolandi a Csikszentmihalyi pubblicata su “ L’impresa” – numero 7/8 2010, pagine 48-51. **** Intelligenza Emotiva di Daniel Goleman, op. cit., intervista di Goleman a Csikszentmihalyi : “ I pittori devono desiderare , sopra ogni altra cosa, dipingere. Se di fronte alla sua tela l’artista comincia a chiedersi a quanto potrà venderla, o che cosa ne penseranno i critici, egli non riuscirà ad aprire nuovi orizzonti. La realizzazione creativa dipende dalla dedizione totale a un unico scopo”. Mihaly Csikszentmihalyi, nasce nel 1936 in Ungheria, figlio di un diplomatico, passa l’adolescenza a Fiume, poi a Venezia, poi a Roma, dove frequenta il liceo classico “Tasso”. Ha insegnato psicologia e sociologia prima all’Università dell’Illinois poi al Department of Psychology dell’Università di Chicago. Attualmente è professore di Psicologia e Management alla Drucker School of Management della Claremont Graduate University in California. Csikszentmihalyi, già a partire dagli anni ’70 aveva sviluppato una serie di studi e di ricerche empiriche sul “flusso di coscienza” come fenomeno riscontrabile nelle attività quotidiane, nella produzione artistica e nello sport. (1975, 1978, 1990, 1993). M. Csikszentmihalyi, FLOW – La corrente della vita: psicologia del benessere interiore, Harper Collins Publishers, New York 1991 (trad.it. di A.Guglielmini , Frassinelli 1992) Daniel Goleman(Stockton, 1946) è uno psicologo statunitense. (fonte Wikipedia) Ha studiato all’Amherst College, dove è stato allievo di Alfred F. Jones. Si è laureato ad Harvard, specializzandosi in “psicologia clinica e sviluppo della personalità”. A lungo ha scritto sul New York Times di temi concernenti la neurologia e le scienze comportamentali. L’opera più conosciuta di Goleman è “Intelligenza emotiva” (Emotional Intelligence) del 1995. In questo libro l’autore afferma, tra l’altro, che la conoscenza di se stessi, la persistenza e l’empatia sono elementi che nascono dall’intelligenza umana, e sono quelli che probabilmente influenzano maggiormente la vita dell’uomo. Spesso queste capacità, che vanno a costituire l’intelligenza emozionale, erano sottovalutate, ignorate o non considerate come elemento rilevante nel computo del noto ma ridimensionato quoziente d’intelligenza (QI).|||
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