Lo specchio che riflette

“Quando tutte le anime si erano scelte la vita, che era loro toccata, si presentavano a Lachesi. A ciascuna ella dava come compagno il genio, daimon, perchè le facesse da guardiano durante la vita e adempisse il destino da lei scelto.” Platone. Repubblica, X, il Mito di Er. Secondo il Mito, prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o Mission che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi per compierlo, il daimon. Tuttavia nel venire al mondo dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, è lui dunque il portatore della nostra vocazione e del fuoco che cerca di farla emergere quando la soffochiamo. Il daimon è il nostro talento nascosto da far affiorare ed esaudire. Indipendentemente dal fatto che si tratti di vocazione, destino o semplicemente di un obiettivo importante da perseguire in un dato momento della nostra esistenza, la questione riguarda il modo attraverso cui individuare la nostra missione. Lo psicologo junghiano Hillman, riprendendo spunto dal Mito di Er, ci parla della “teoria della ghianda” secondo cui siamo venuti al mondo con un’immagine che definisce la nostra individualità. La teoria della ghianda sostiene che ognuno di noi ha dei tratti caratteriali distintivi che emergono anche in modo bizzarro per manifestare la nostra vocazione. Secondo Hillman c’è un fuoco dentro ognuno di noi, chiamiato vocazione, talento oppure destino, che non può essere trattenuto e che anzi più viene represso più emerge in modo vulcanico manifestandosi tramite comportamenti istintivi, esplosioni caratteriali. Questi aspetti non vanno sottovalutati e neppure etichettati come devianze, ma colti e assecondati perché rappresentano una parte fondamentale della nostra identità e del nostro potenziale (la nostra ghianda) e hanno bisogno di venir fuori e di concretizzarsi in qualche modo nella cornice della vita indipendentemente dal contesto socio culturale e valoriale. Ognuno di noi ha una Mission da perseguire ma non sempre siamo capaci di individuarla e continuiamo a vagare smarriti alla ricerca di qualcosa che neppure noi sappiamo cosa sia. L’essere umano ha bisogno di significati. Ha bisogno di ancorare la propria esistenza a qualcosa, ha la necessità di trovare una spiegazione. Il contrario genera una “crisi di senso”: non sapere più cosa facciamo e dove stiamo andando. Le nostre ancore, sono il nostro potenziale e i nostri punti di forza su cui spesso poco ci focalizziamo o che addirittura poco conosciamo. Essi rappresentano il punto di partenza attraverso cui raggiungere i nostri obiettivi. Spesso non riusciamo a vivere come vorremmo e a concretizzare quello che realmente desideriamo, perché non siamo sufficientemente consapevoli di noi stessi e delle nostre potenzialità. Ma per far emergere tutto ciò avremmo bisogno di uno specchio, qualcuno che “riflettesse” e ci facesse riflettere facendoci vedere ciò che non riusciamo a vedere ma che abbiamo nascosto dentro di noi. Però attenzione allo specchio, che non sia né rotto né distorto. Esso deve riprodurre l’immagine in modo chiaro. Un buon specchio non solo riproduce un’immagine vivida e reale ma ci permette anche di notare dettagli utili. Un buon specchio evita le generalizzazioni, ossia il mettere sullo stesso piano tutti i particolari del nostro riflesso, le cancellazioni, ossia il vedere solo un aspetto della nostra immagine, le distorsioni, ossia il confondere i vari dettagli di essa. Un buon specchio si può identificare nella figura del coach, ma possiamo esserlo anche noi stessi in qualità di self coach nel renderci consapevoli e farci scoprire qual è la nostra mission. Gli strumenti a disposizione possono essere l’ascolto attivo e le domande potenti. L’ascolto attivo è quell’attitudine a concentrarsi pienamente su ciò che la persona che abbiamo davanti ci sta dicendo e ci permette di incuriosirci di essa sospendendo ogni forma di giudizio o pregiudizio. Sembra facile ma non lo è poiché la tendenza è solitamente quella di esprimere pareri, dare giudizi ed elargire soluzioni. Le risposte, quelle vere, emergeranno spontaneamente dal diretto interessato se si trova in una condizione stimolante di riflessione, confronto e rispecchiamento. Il coach proprio come uno specchio, permette di osservarsi dall’interno e di acquisire maggiore consapevolezza di sé delle proprie potenzialità, dei propri limiti e dei propri desideri e obiettivi. Ciò che sprona l’essere umano è il desiderio di conoscenza di sé e questo può avvenire anche grazie alla relazione di Coaching o di Self-coaching proprio perché si ha la possibilità di vedersi nell’altro, di far emergere le proprie potenzialità, di riconoscerle e farle emergere proprio come lo specchio rimanda ad ognuno l’immagine di sé.
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