Lapprendimento strategico e le buche nella sabbia

L’apprendimento è la pietra angolare del pensiero strategico. Ma attenzione: c’è apprendimento e apprendimento. I manager possono approcciare la realtà a vari livelli, mettendosi in discussione più o meno radicalmente. Per esplorare questo concetto partiamo dall’assunto, qui dato per acquisito, che la conoscenza avviene mediante meccanismi “try and learn”, che prevedono la continua sperimentazione e rielaborazione dei dati di ritorno del mercato, in un ciclo continuo di azioni ed osservazione dei risultati ottenuti. Qualunque manager potrebbe affermare di lavorare in questo modo. Per esempio effettua il lancio di un nuovo prodotto, misura le reazioni del mercato (numero e tipologia di acquisti, distribuzione geografica ecc.) e su questa base elabora il piano commerciale per il periodo successivo. Tale dinamica è chiamata, dai due maggiori studiosi di questo ambito, Argyris e Schön, apprendimento “single-loop”. Esso è caratterizzato dalla disponibilità a modificare i propri parametri di funzionamento, lasciando inalterate le dinamiche generali. È, in altri termini, la via facile e diretta all’apprendimento, estremamente diffusa in tutte le aziende, ed assolutamente utile ed opportuna. Ma non sufficiente. Quando un sistema è in grado di modificare non solo i propri parametri (vendere o non vendere quel prodotto) ma anche le sue dinamiche di funzionamento, si passa al livello successivo, denominato “apprendimento double-loop”. Un manager “double-loop”, di fronte ad un fallimento nel lancio di un prodotto, si chiede se il posizionamento dell’azienda è corretto, se la sua visione del business è coerente, mette cioè in discussione tutto, ed è sinceramente disponibile a cambiare. In realtà anche nel “double-loop” c’è qualcosa che non è messo in discussione, ovvero la propria attitudine di fronte agli errori ed alle esigenze di cambiamento. Questa sorta di “meta-apprendimento” (apprendere un diverso modo di apprendere) è il terzo e più alto livello individuato dai due studiosi, che lo definiscono “deutero-apprendimento”. Le domande che un manager “deutero-apprendente” dovrebbe porsi attengono ai suoi modelli mentali, al perché certi fatti tendono ad essere interpretati in un modo o nell’altro, e cosa sta impedendo all’organizzazione di recepire i cambiamenti nel mercato. Le aziende automobilistiche americane hanno reagito con ritardo e insufficienza all’ascesa delle case giapponesi come la Toyota, poiché le prime reazioni sono state “single-loop”, banali contromosse dettate dalla convinzione che l’industria giapponese fosse facile da sconfiggere. Più tardi le reazioni sono diventate “double-loop”, e le aziende americane hanno cominciato ad imitare il modello giapponese, cercando di coniugare qualità ed efficienza. Ma solo con la crisi degli anni ’80, i manager hanno finalmente cambiato il loro modo di valutare il mercato e loro stessi, ed hanno sposato il paradigma della “qualità totale” come nuova modalità di pensare il business. Purtroppo questa è una regola generale della vita individuale ed aziendale: si arriva al “deutero-apprendimento” solo se ci si scontra duramente contro il fallimento dei propri modelli consolidati. In fondo, la sofferenza è inevitabile, dal momento che l’apprendimento è sempre una “distruzione creatrice”, perché è impossibile imparare senza disimparare, evolversi senza cancellare ed abbattere vecchi modelli mentali. In definitiva Kant ci ha insegnato proprio questo: pensare e conoscere non sono la stessa cosa. Questo dovrebbe essere un mantra manageriale da ripetersi continuamente, perché il mondo è troppo complesso per tentarne una comprensione svincolata dall’esperienza, e dalla messa in discussione costante dei propri assunti mentali. Una celebre leggenda sulla vita di San Agostino, narra che un giorno il grande pensatore stava passeggiando su una spiaggia, quando vide un bimbo sulla battigia intento a prendere l’acqua dal mare con una conchiglia, versandola poi in una buca scavata nella sabbia. Agostino chiese al fanciullo cosa stesse facendo, e questi gli rispose di voler mettere tutta l’acqua del mare nella sua buca. Il santo gli disse che questo era impossibile, ma il bambino (in realtà un angelo trasfigurato) gli rispose «e tu come pensi di poter mettere Dio nella tua testa?». I modelli mentali sono le nostre buche sulla sabbia. Pensare di “comprendere” (nel senso etimologico di “prendere con sé”) in essi l’intero mare della complessità del mondo, è un’illusione dalla quale occorre liberarsi, per poter cominciare ad apprendere. Fonte: Lucio Macchia “La strategia aziendale nei mercati complessi”, 2010 Franco Angeli
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