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La danza del dare e del ricevere attraverso presenza e concentrazione

Non si può scegliere a monte quale parte di noi donare o non donare, è un’entità inscindibile Come coach quando mi è stata chiesta una frase guida che mi rappresentasse non ho avuto esitazioni: “dare è ricevere per sé”. È una frase che mi era apparsa in un sogno, scritta con il gesso bianco su una grande lavagna, sotto forma di equazione. Dare, si, ma dare cosa? Ho sempre creduto che dare equivalesse a compiere azioni, che in qualche modo sarebbero state ricambiate da altre azioni, con una logica dell’universo che agisce come un campo quantico. Ponendomi cioè su un campo vibrazionale del “dare” avrei potuto ricevere lo slancio verso l’altro che era alla base delle mie azioni. Un dare quindi condizionato da una scelta, emotiva o razionale. Perché invece non considerare il dare come un donare la propria esperienza esistenziale per poter ricevere attraverso lo specchio dell’emozione e dell’interazione il riflesso di un’altra perfetta unicità? Chiaramente la vita di tutti i giorni esige di interpretare tanti ruoli a seconda delle situazioni, ma qualche volta ricordarsi di calarsi nella propria essenza, nella propria mission al di fuori dei ruoli può farci riscoprire chi siamo, per trovare nuove possibili strategie, più congruenti con quello che siamo. Alla base c’è l’assenza di giudizio: non si può scegliere a monte quale parte di noi donare o non donare, è un’entità inscindibile. Significa accettarsi, riconoscere ed integrare il proprio mondo emotivo. Con il coaching e la mia sperimentazione di attrice non professionista, ho elaborato a fondo questo concetto. Due workshop, a un mese di distanza tra di loro, tenuti al Centro Intensivo Allenamento Permanente Attori con l’attrice e coach Gisella Burinato. Nel primo, un dare condizionato: un mio pregiudizio sull’emozione che si è tradotto in un blocco emozionale, e anche la scelta consapevole di donare la mia esperienza nelle improvvisazioni solo se e quando sceglievo di farlo, e scegliendo anche cosa far vedere. E in quello stage mi sono emozionata poco per gli altri, sono rimasta distante. Un secondo stage, dove ho scelto di condividere il mio vissuto così come è, senza pregiudizi interni, facendo appello alla risorsa della presenza: l’assenza di giudizio mi ha permesso di far fluire liberamente le mie emozioni e allo stesso tempo di provare un livello di empatia con gli altri partecipanti mai sperimentata prima nella vita. Ho attivato due risorse: concentrazione e presenza. Perché la concentrazione è presenza, è assenza di giudizio, è essere nel qui e ora e allenarsi a rimanere nel flusso del momento. Allenare la concentrazione, costantemente, nella vita di tutti i giorni, è una risorsa importantissima. Lo sforzo da performance o l’intromissione del pensiero rendono paradossalmente molto più arduo il raggiungimento del risultato. Vedere la meta, riconoscere i nostri passi e affidarci a noi stessi, con concentrazione e consapevolezza della propria mission. Allora, anche alcuni semplici esercizi di allenamento numerico associati ad un movimento corporeo possono risultare indicativi e rivelatori per individuare la griglia mentale nella quale si muove una persona. Capire come si sviluppa un pensiero, quanto la persona riesca a mantenere la concentrazione agendo consapevolmente su diversi livelli nello stesso momento, perché dietro un obiettivo portato da un coachee c’è sempre una sfida interna, un dialogo tra le parti. Per un coach è fondamentale separarsi dal proprio attaccamento al risultato e concentrarsi su come il coachee strutturi il pensiero, perché è lì che si colgono gli elementi della sfida interiore. Allo stesso tempo valorizzare sempre le risorse interne e le modalità del coachee, che sono intrinsecamente personali, capire se esiste un loro modo più autentico per essere rappresentati nelle proprie azioni, per rendere la persona autonoma e perché i risultati del coaching si autoalimentino. A questo proposito, è interessante vedere come l’ansia e lo stress cronico che lamentano spesso i coachee sproni all’azione, al punto da avere una connotazione adrenalinica nel raggiungimento di risultati veramente sfidanti. Quello che ho notato come coach è che però esiste un’azione più ecologica, e prevede proprio una modalità opposta, un’azione che non sia una reazione a uno stato di stress o di ansia, ma un’azione che sia espressione. L’azione efficace parte dall’essere, e l’essere è conoscenza e accoglimento di sé, per lanciarsi delle sfide più vere rimanendo centrati, e cercando dentro e non fuori di noi le conferme di un valore che ci appartiene per natura, perché ogni persona è unica e quindi perfetta.

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