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Genitorialità: attesa, incognita, risorsa

L’attesa di un figlio è un periodo magico, circoscritto nel tempo, che si pone tra il “non essere” e il “divenire” genitore. È un periodo denso di domande che si accavallano nella mente e nel cuore, ricco di emozioni e di tenerezze. Si vive in questo mondo ma non ci si sente di questo mondo; si è consapevoli di vivere un momento irripetibile di attesa. Le parole di Simone Weil, quando dice che «I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi. L’uomo, infatti, non può trovarli con le sue sole forze e se si mette a cercarli troverà al loro posto dei falsi beni di cui non saprà nemmeno riconoscere la falsità» (WEIL SIMONE, Attesa di Dio, Milano, Rusconi, 1991, pag.81), aiutano a descrivere le sensazioni di quei mesi: la certezza di essere lì ad aspettare un bene prezioso, il bene più prezioso. Per riconoscere questa attesa, per vivere in questa “terra di mezzo”, bisogna, però, ancora una volta, essere capaci di fermarsi per ascoltare, di accettare il rischio dell’incognito, di saper vivere l’attesa come splendido dono. Un figlio si sente vicino già prima di accoglierlo tra le braccia se lo si sta ad ascoltare. E, dopo la nascita, comincia una danza, un riconoscere e un essere riconosciuti continuo, incessante. Si ritrovano sensazioni che avevano accompagnato l’attesa, altre scompaiono, altre ancora prendono vita. L’ascolto, l’essere ascoltati, l’attenzione partecipata è qualcosa che i bambini richiedono in ogni istante. Un figlio travolge meravigliosamente la vita, la arricchisce e la complica, sconvolge i ritmi e ne crea continuamente di nuovi. A volte sembra impossibile riuscire ad adeguarsi ai tempi, agli spazi, agli ascolti che richiede un bambino; a volte la sensazione di “perdere possesso” della propria vita è forte e mette in difficoltà. Gli anni vissuti insieme ai figli, ci inducono a mettere continuamente in discussione il nostro essere adulti, ci invitano a rallentare e a riflettere, a ricomporre le nostre priorità, a rideterminarci come persone. I figli ci insegnano anzitutto a non cercare certezze, a non avere certezze, a vivere la vita come una strada da percorrere lentamente, facendo delle frequenti soste. Non è facile perché contrasta con i ritmi incalzanti di questo tempo presente, talvolta dà la sensazione di essere in dissonanza col resto del mondo, ma chi ha vissuto e vive l’esperienza della genitorialità sa che, dopo, non si potrebbe (e non si vorrebbe) più vivere in altro modo. Non importa il come si sia divenuti genitori, se la strada che ci ha portato all’incontro con un figlio sia stata quella biologica o quella dell’adozione; importa che quell’incontro abbia fatto inesorabilmente scoprire altre possibilità del nostro io, altri limiti (da superare) e altre risorse. Vicino al proprio figlio, ciascuno di noi cresce, scoprendo ogni giorno nuove qualità interiori, ponendosi nuove domande e vivendo continui e quotidiani cambiamenti. Così, un giorno dopo l’altro, senza fretta, procediamo sulla strada della vita, divenendo, istante dopo istante, persone nuove.

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