E se parlassi di me? Una Biografia affermativa

Ho appena finito di vedere il video di Steve Jobbs (dalla sezione di Coaching TimeVideo) mentre tiene un discorso agli studenti dello Stanford college durante una cerimonia di laurea. Ogni volta che ascolto esempi di biografia affermativa, si attiva una cinestesia che mi risuona internamente e fa vibrare anche il più piccolo muscolo. Decido quindi di scrivere e di raccontarmi. Ho scelto la facoltà di psicologia che era un buon modo per affacciarmi al mondo: la facoltà era a Roma ed io vivevo a Napoli. La scelsi perché mi piaceva l’idea di poter risolvere i problemi del mondo… un io onnipotente con nessuno strumento che procedeva in modo disordinato ed incongruente. Erano gli anni di Basaglia, di una nuova psichiatria che indeboliva il concetto di normalità e rivedeva quello di follia. Io mi laureavo e contemporaneamente veniva approvata la legge Basaglia. Fuori tutti! Era lo slogan che si sentiva di più. Anch’io mi sentivo così “fuori da tutto”. Il dolore e la sofferenza psicologica mi spaventavano e sentivo di non avere gli strumenti giusti per affrontarli. Contemporaneamente l’esigenza di lavorare (più che altro di cominciare a guadagnare) mi fece casualmente partecipare ad una selezione per accedere ad un corso per promotori finanziari. Cosa aveva in comune questa attività con i miei studi di psicologia? Nulla! Però avevo intravisto la possibilità di essere produttiva e generare in modo abbastanza veloce un guadagno. L’ho fatto per dieci anni di seguito. Non sono mai stata una grande promoter e i contratti sono arrivati più per capacità relazionali ed empatiche che per pressioni o discussioni sapienti su tecnicismi di alta finanza. Ero soddisfatta? Non proprio! Ho continuato perché non vedevo alternative, ho continuato caparbia a non volerle vedere. Un giorno la banca presso la quale lavoravo decise di creare una classe di formatori interni, una figura mista che sapesse del mercato e delle strategie di vendita e di acquisizione/assistenza della clientela (sia come approccio che come conoscenze tecniche). Partecipai alle selezioni. La mia laurea, i corsi di specializzazione, che avevo continuato a fare, e l’esperienza di dieci anni come promotore finanziario giocarono a mio favore. Entrai a far parte del team dei formatori! Fu un periodo d’oro: giravo l’Italia e facevo qualcosa che mi piaceva molto che mi generava senso di sicurezza e piacevolezza (due sensazioni a me non molto note). Ma sempre più spesso ricompariva la sensazione di non agio che mi scollegava dal lavoro che facevo, dai clienti e dalle loro richieste, dai colleghi di lavoro. Mi sentivo straniera e affaticata. Una sera nello studio di una mia amica commercialista mi capitò un libro tra le mani (non voglio soffermarmi su come “il caso” sia l’opportunità che ti si presenta in modo anonimo e silenzioso). Il titolo mi attirò “il coaching” (Tassarotti e Grammatico Sole24ore). Me lo portai a casa. Lo lessi d’un fiato. Avvertii una sensazione indecifrabile (ancora non coniugavo la parola passione) che però non andava in nessuna direzione, rimaneva lì, inesplorata, inespressa. Il giorno successivo attivai una ricerca su internet e “scaricai” materiale, notizie, informazioni, corsi, master. Il pensiero diventava ricerca, azione. La curiosità si faceva spazio e faceva domande. Mancavano ancora dosi massicce di consapevolezza ma per questo ci sarebbe voluto un altro po’ di tempo. Chiesi in giro ma pochi sapevano cosa fosse il coaching. “Questo è quello che voglio fare!” mi ripetevo (per nulla consapevole dell’imperativo che usavo con forza rispetto al solito condizionale che puntellava le mie frasi più ricorrenti). Raggiungere obiettivi. Sì, ma quali? E per raggiungerli , pensavo, bisogna averceli gli obiettivi. E come si forma un obiettivo? Da che cose si parte? Com’è fatto un obiettivo? E come so che è un obiettivo? Facevo il coach di me stesso ma mi mancava completamente il processo per attivare un qualsivoglia percorso. Mi iscrivo pensai, mi iscrivo al mater per fare il coach. Roma, Roma è stata la mia patria didattica e, a distanza di dodici anni lo riconfermavo. Il passo più incredibile compiuto in quel periodo? L’aver dato le dimissioni come promotore finanziario senza avere nessuna alternativa lavorativa immediatamente disponibile! Una strana fede mi guidava: potevo cambiare la direzione della mia vita. Non pensavo di poterlo fare e invece lo stavo facendo e nel modo più folle che potessi immaginare: così all’improvviso. E così è andata, ho cominciato a volare senza avere ancora le ali. Si chiama “sopravvivenza biologica” credo, quell’istinto che ti fa scoprire di avere le ali prima ancora di vederle. Il mio primo master mi ha fatto acquisire un linguaggio ed un approccio metodologico che mi ha consentito di approfondire la ricerca. Compravo libri che divoravo (non era mai successo prima, neanche all’università) e spedivo CV alle aziende. Dopo nemmeno tre mesi lavoravo in un’azienda con sede a Roma (di nuovo!) e filiali su tutto il territorio. Sono cresciuta come formatore applicando e sperimentando una modalità coaching oriented. Alle mie aule hanno partecipato responsabili commerciali e responsabili d’agenzia. Ho avvicinato realtà territoriali diverse, ho percorso un numero infinito di chilometri e mangiato e dormito nei posti più incredibili. Ho scoperto di avere un adattamento ed una flessibilità che nemmeno sapevo mi appartenesse. Ero soddisfatta? Non completamente! La passione è il mio motore, tenerla viva è un cammino. Dopo quattro anni come responsabile di formazione cercavo ancora un ruolo che mi stesse meglio. Cercavo un abito, uno stile nel quale sentirmi completamente a mio agio. Diedi le dimissioni (mi sembrava la cosa più facile) da un lavoro che mi offriva opportunità comode, ma mi rallentava nella ricerca. Di nuovo a terra, di nuovo senza lavoro, di nuovo senza alternative. Forse in un contesto come quello americano la cosa non avrebbe destato nessuno scalpore ma qui… Lottavo contro un’insoddisfazione crescente, l’incertezza, la precarietà economica. Diedi fondo ai miei piccoli capitali e feci di nuovo una cosa fuori da ogni apparente logica: ristrutturai la mia casa! Scegliemmo colori, cambiammo mobili, creammo spazi nuovi e soprattutto nacque il mio studio! Il mio primo studio. Re incorniciavo la mia casa e re incorniciavo la mia vita! A questo punto dovrei aggiungere che tutto questo gran movimento avveniva non quando avevo venti o trent’anni, ma a quarantacinque, e non credo di dover aggiungere altro. Avevo un master in life & business coaching, il practitioner ed il master in PNL, frequentavo un percorso sull’autobiografia e ancora non sapevo come “usare” queste competenze. Risposi ad un annuncio, cercavano un redattore della newsletter per la FIC (Federazione Italiana Coach, ancora non si chiamava ICF Italia) fui presa. Nella sezione “cerca un coach” della stessa newsletter chiedevano un coach aziendale su Napoli, invia il cv fui presa! Contemporaneamente ho cominciato l’attività di redazione e il coach aziendale. Lavoravo come coach, scrivevo (che è una delle mie grandi passioni) e, cosa non da poco, guadagnavo! Intanto mi ero iscritta al mio secondo master come coach, avevo ampliato la mia rete di relazioni e attivato nuove risorse prima di allora ignote e soprattutto insperate. Ho incontrato persone che mi hanno aiutato a far venire fuori la mia intimidita capacità creativa e generativa, ho imparato a tener conto della mia ombra che mi ha preservato dai pericoli dell’inesperienza e a riconoscere la mia grandezza – fuori da inutili modestie – che mi spinge a prendere in mano la mia vita e ad essere un autore autorevole. Ho scritto la mia storia percorrendo pagine di vita non sempre in modo consapevole. Ho promesso a me stessa che questo non accadrà più. Oggi sono un coach, e faccio il coach! E poi scrivo, scrivo storie, storie che ascolto e che mi attraversano l’anima. Il video di Steve Jobs mi ha attraversato l’anima e ha dato riverbero alla mia storia. Mi sono detta “perché no?”. Ognuno ha una storia che merita di essere raccontata!|||
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