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Intervista ad Alberto Simone (3ª parte), psicoterapeuta, produttore, sceneggiatore e regista

Alberto Simone, nasce a Messina, vive e lavora a Roma. Laureato in psicologia, studioso appassionato di filosofia e cultura orientale, svolge il suo percorso professionale nel campo della comunicazione. Ideatore di numerose campagne pubblicitarie soprattutto in ambito sociale, è oggi sceneggiatore, produttore e regista di film e fiction televisive di successo. Ha fondato “Il bicchiere mezzo pieno”, un gruppo molto seguito su Facebook, che ha già una versione inglese. Come rimediare all’infelicità? Nessuno di noi può far niente per se stesso se non si rende conto della propria condizione di sofferenza. Le persone vivono inquadrate dentro un progetto che spesso non è il loro, ma ancor peggio, entrano in una serie di automatismi di “non ascolto” di se stessi che è l’origine di una condizione di sofferenza. Il primo passo che una persona può fare per cambiare, è rendersi conto di come sta. La semplice domanda che puoi rivolgere a te stesso, “Come sto?”, “Come mi sento?”, è già la prima domanda importante che puoi farti, perché se la risposta è “Non sto bene”, vuol dire che devi cominciare ad operare un cambiamento nella tua vita. Quindi la coscienza della propria sofferenza, nella nostra società, non è così automatica come si potrebbe pensare. Noi abbiamo dei modelli di riferimento che ci dicono che va bene così, è perfetto così: hai un lavoro, una buona posizione, magari un ottimo stipendio, sei apprezzato all’interno del tuo mondo lavorativo, e tutto ti dice che stai facendo la cosa giusta. Finché non scopri, non so, che sei un manager e avresti voluto fare il ballerino. In quel momento lì, in quella presa di coscienza, c’è la consapevolezza che ti sei allontanato dalla tua natura e che ti sei conformato a una richiesta esterna, oppure a dei valori che hai acquisito e che sono sovrastrutturali. Quindi, come possono fare le persone per stare meglio? Il primo passo è che devono sentire il disagio. Il primo stratagemma che la natura utilizza per fare questo, è abbastanza curioso: quando tu diventi “fortemente inconsapevole” di te stesso, molto spesso si creano degli incidenti. Ti accadono delle cose non previste, che non immaginavi ti potessero accadere… come se ad un certo punto si rompesse qualcosa. Ad esempio, si può rompere qualcosa nel tuo corpo: il fatto che tu non sia consapevole della tua sofferenza, può causarti dei problemi a livello fisico. Magari puoi continuarti ad ammalare, possono cominciare a caderti tutti i capelli… tutti segnali del fatto che qualcosa non va, e che il tuo corpo comincia a mandarti. La prima cosa da fare, è capire che qualcosa non va, percepire il tuo disagio, il tuo dolore. In sintesi iniziare a “Conoscere se stessi”. Nella mia vita ho affrontato tanti problemi di questo tipo, soprattutto quando ero più giovane. Percepivo una grande insoddisfazione nella mia vita, nonostante avessi apparentemente tantissime cose che, per altri, potevano rappresentare un punto di arrivo. Ma dentro di me c’era questa costante insoddisfazione, che mi portava a cercare, che mi portava a cambiare, ad imparare cose che non conoscevo. L’insoddisfazione per me è stata non solo un segnale, ma anche un motore del “conosci te stesso” e del mio cambiamento. Altre persone possono arrivarci in altri modi: avvertendo, magari, una disarmonia, o una quota di infelicità che diventa sempre meno sopportabile. Quindi, la coscienza del proprio disagio, la coscienza che qualcosa non va, è l’inizio di questo percorso. Come si fa, dall’insoddisfazione, a prendere la strada del cambiamento? Intanto, non è detto che se noi percepiamo l’insoddisfazione riusciamo a prendere poi la strada del cambiamento. Ce lo dimostrano gli esempi dai quali siamo circondati: c’è tanta gente che si lamenta, ma poi finisce lì, non riesce ad andare oltre, non riesce ad intraprendere la strada del cambiamento. Quello che porta al cambiamento, è riconoscere che questa insoddisfazione, nella tua vita, è qualche cosa di insopportabile, un limite che tu non puoi più accettare. Se riesci a convivere con l’insoddisfazione, puoi andare avanti per molto tempo: certi dei surrogati, che in qualche modo sono come dei puntelli, qualcosa che tu utilizzi per non crollare… e ne puoi avere di tanti tipi purtroppo, a volte anche molto drammatici. Puoi utilizzare l’alcool, le droghe, la sessualità: qualunque cosa, per tamponare. Quando la tua insoddisfazione non è più accettabile, quando davvero c’è questa presa di coscienza, è allora che vai in fondo alle radici, alla conoscenza di questa insoddisfazione. Dove è nata, da che cosa deriva, perché? A volte ti dai delle risposte giuste, a volte fuorvianti. Molto spesso noi pensiamo che siamo insoddisfatti perché dobbiamo cambiare qualcosa che sta fuori di noi. Possiamo dire, banalmente, “La mia casa è troppo piccola, ed è per questo che sono insoddisfatto”. Allora, cerchi una casa più grande, vai ad abitarci e ti accorgi, però, che l’insoddisfazione è sempre lì. E allora sei costretto a riconoscere che la causa non era la casa. Allora ti dici che forse è il tuo matrimonio che non va bene, e cominci a lavorare in quella direzione. E poi, magari, ti accorgi che neanche quella era la risposta che cercavi. Di stazione in stazione, ti avvicini sempre di più a quella che è la vera risposta alla tua insoddisfazione, che ti porta sempre allo stesso punto. La tua insoddisfazione nasce dal fatto che tu non sei identificato con la tua vera natura. Tutto il resto diventa una sovrastruttura. Spesso, capita a tutti noi di cercare, girare e girare come se fossimo sopra ad una giostra, ma la risposta non riusciamo a trovarla, semplicemente perché la stiamo cerando nel posto sbagliato: la stiamo cerando nel mondo delle cose, nel modo esterno, materiale. Le uniche due cose che veramente ti salvano dall’insoddisfazione perenne e dall’infelicità perenne, sono capire chi sei e realizzare chi sei nel mondo. Riconoscere cosa veramente vogliamo essere: questo aspetto quanto è importante nel percorso del cambiamento? Direi che è importantissimo sapere verso che cosa vuoi andare e sapere di avere bisogno di quella cosa. Io posso pensare di avere sete e di aver voglia di un bicchiere d’acqua, ma non si materializzerà qui davanti a me. Ciò che mi porterà a muovermi, alla ricerca di un bicchiere d’acqua sarà proprio questa consapevolezza. In questo senso, mettere a fuoco un obiettivo nella vita, o una serie di micro obiettivi, è molto importante, perché è proprio dalla definizione dell’obiettivo che tu devi partire per innescare il tuo cambiamento. Devi sapere ciò che vuoi, altrimenti ti muovi alla cieca. Seneca diceva “Non c’è vento favorevole per il navigante che non sa dove andare”. Ciò che alla fine noi facciamo, è comporre il nostro obiettivo. Chiaramente nella vita non c’è un unico obiettivo, ce ne sono milioni. Però senza nessun obiettivo, non c’è nessun cambiamento. Se chiunque di noi, per un momento, si ferma a riflettere, prende un foglio di carta bianco e comincia ad annotare semplicemente i suoi desideri attuali, recuperando anche quelli “passati” per riposizionarli, può in qualche modo focalizzare in questa lista cosa sia veramente fondamentale, avvicinandosi sempre più a ciò che davvero è essenziale, irrinunciabile. Questo solo per dire che nei nostri desideri, nei nostri obiettivi c’è il motore di un cambiamento. L’insoddisfazione da sola non basta: può essere la benzina che noi mettiamo nel nostro motore, però poi dobbiamo sapere la macchina dove deve andare, altrimenti giriamo a vuoto. Per contattare Alberto Simone:albertosimone@dauphine.it *Condividi su facebook con un tuo commento cliccando su “Mi piace”.|||

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