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Diario di una Coach

La nostra zona di confort è una cuccia calda e comoda in cui tutto è noto e familiare, i pensieri, i comportamenti, le convinzioni Una delle prime definizioni che ho ascoltato sul coaching l’ho scoperta durante la partecipazione ad un workshop, successivamente ne ho ritrovate altre su testi specializzati sull’argomento ed infine ne ho formulata una mia: il coaching è un processo di apprendimento, attraverso il quale chi decide di intraprendere il percorso passa da una zona di comfort ad una zona di espansione. Tra i compiti del coach vi è anche quello di assistere i coachee in questo passaggio, guidandoli con domande e feedback. Una mia amica coach, giorni fa, mi ha chiesto di scrivere un articolo sul coaching, ed io ho accettato. Consapevole che questo avrebbe significato riprendere in mano la penna… Ho desiderato ri-ascoltare il fruscio della penna sul foglio, pur sapendo che avrei avuto davanti una pagina bianca. Ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. Ho iniziato a scrivere all’età di sei anni. Ho scritto sui fogli a quadretti larghi delle scuole elementari, ho scritto sulla sabbia, ho scritto e cancellato parole sulla neve fresca, ho scritto un diario durante il periodo dell’adolescenza. Ho scritto lettere a me stessa ed ai miei amori, ho scritto descrizioni di viaggi e di sogni, ho scritto poesie. Non scrivevo più da quasi venti anni. Riprendere a scrivere dopo venti anni… mi ha fatto provare inquietudine, curiosità, timore. Mi sono chiesta : cosa accadrà? Riuscirò a trasferire a chi mi legge le mie emozioni e i miei pensieri? Ero consapevole che con il mio sì mi sarei trovata a ripercorrere il passaggio da una zona di comodo (scrivo solo per me) ad una zona di espansione (scrivo per gli altri). Mentre scrivo ed oltrepasso la soglia di ciò che è silente da tanto tempo, farfalle si agitano nel mio stomaco, ricordi di pagine scritte e di emozioni sperimentate riaffiorano, ritrovo lo sguardo del mio più accanito lettore, mio padre… Mentre la mia penna scorre sul foglio, veloce e libera, trovo il coraggio di aprire la scatola dei ricordi, che tengo accuratamente richiusa, da anni. Le nostre abitudini ci tutelano, ci consentono di preservare energie non dovendo imparare le stesse cose ogni giorno, talvolta ci proteggono dalla sofferenza , le azioni compiute e ricompiute decine di volte, talvolta ci salvano la vita. La nostra zona di confort è una cuccia calda e comoda in cui tutto è noto e familiare, i pensieri, i comportamenti, le convinzioni. In questa zona noi siamo gli esperti , sappiamo di sapere. Ma, allo stesso tempo, questa stessa zona ci limita. Ci impedisce di apprendere nuovi comportamenti. Di raggiungere obiettivi extra ordinari. Uscirne può risultare impegnativo, faticoso, talvolta possiamo sentirci “scomodi”. Come io mi sono sentita “scomoda” riprendendo a scrivere. Il processo di coaching parte proprio da qui, dal viaggio verso ciò che è ignoto, verso ciò che non sappiamo e che abbiamo volutamente dimenticato, verso ciò che è altro rispetto al nostro modo abituale di pensare, dai nostri paradigmi consolidati. Questo passaggio mi emoziona e mi affascina ogni volta che decido di oltrepassare la mia zona di agio e ogni volta che ho il privilegio di osservare un mio coachee che decide, consapevolmente, di abbandonare vecchi schemi e di indossare un nuovo paio di occhiali per osservare il suo mondo. Ho avuto modo di osservare coachee per i quali questa zona era costituita da relazioni conflittuali che, pur risucchiando energie, erano pur sempre “sicure” nella loro prevedibilità, coachee per i quali la zona di comfort era costituita dai chili in eccesso che li proteggevano dall’esporsi al resto del mondo, coachee la cui zona era costituita dalla difficoltà di delegare e dal voler controllare i loro collaboratori. Il salto ci proietta in tutto ciò che è nuovo, diverso, aperto. Poter assistere i coachee durante questo passaggio, è una delle molle che mi spinge a fare il coach. L’attimo in cui un coachee decide consapevolmente di impiegare la sua volontà, la sua determinazione, il suo corpo e le sue emozioni al fine di lasciar andare una vecchia e consolidata abitudine e credenza per sperimentare qualcosa di nuovo e raggiungere un obiettivo, è la scintilla che dà vita al percorso di coaching. Io… nel frattempo ho riempito, ormai senza più disagio e scomodità, questi fogli, e quasi quasi vorrei continuare a scrivere. Ho scoperto che è ancora possibile per me mettere dei pensieri su carta e ho affrontato le paure che mi impedivano di guardare il foglio bianco.

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