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“Una vita non basta”. Intervista a Giovanna Giuffredi tratta dal periodico telematico DireDonna

Nel film “Una vita non basta”, il protagonista Sam Lion (interpretato da Jean Paul Belomondo) è un manager all’apice del successo che a un certo punto della sua vita decide di mollare tutto e fingendosi morto in un naufragio, inizia a girare il mondo con il suo yacht. Anche senza arrivare a una situazione così estrema, oggi il tema del downshifting emerge sempre più spesso: che cosa significa esattamente, in cosa consiste e perché da un punto di vista pragmatico ha successo? «Il downshifting è il recupero di quelli che dovrebbero essere i nostri ritmi naturali di vita, è la scelta di vivere più semplicemente, in maniera più facile, liberandosi di molte sovrastrutture di cui in realtà non sentiamo alcuna esigenza, almeno finché qualcuno o qualcosa innesca in noi il virus di un bisogno indotto. Pensiamo a tutti i supporti tecnologici che da un lato dovrebbero facilitarci la vita, ma dall’altro impongono un costante aggiornamento, una revisione continua delle procedure e per molti è una corsa senza fine per avere sempre l’ultimo modello uscito sul mercato. Il downshifting va nella direzione del work life balance, di quell’equilibrio dei tempi e degli spazi tra vita privata e professionale, scegliendo una modalità che elimini inutili spechi di energie e che rende le persone certamente più serene.» Nel film, Sam, dopo la sua scomparsa, decide di tornare alla realtà per aiutare i figli in difficoltà con l’impresa di famiglia. Nel momento in cui si decide di cambiare radicalmente vita, cosa bisogna tener ben presente per farlo in maniera equilibrata senza poi avere rimpianti? «È certamente utile fare un esame approfondito delle molle che ci spingono a correre e a riempire ogni spazio con qualcosa. Sono cause esterne o siamo noi stessi che decidiamo di vivere così? Alla base c’è una passione per qualcosa, un lavoro o un interesse particolare che può compensare la frenesia di vita con un grande appagamento, o ci sono solo modelli imposti dall’esterno? Tutti i modelli consumistici, ad esempio, sono il più delle volte condizionamenti che non appartengono veramente alle persone. Può anche accadere di essere stritolati da ritmi imposti in ambienti di lavoro in cui si è sovrautilizzati. In ogni caso, è un processo alla portata di tutti ragionare sulla propria vita e iniziare a fare una selezione di rami secchi, fino a definire gli aspetti a cui non si vuole rinunciare.» Sicuramente, molte donne, mogli, mamme e lavoratrici avranno pensato almeno una volta “Mollo tutto e scappo!”. Nella sua esperienza di life coach, ha notato se questa esigenza è più presente in uno dei due sessi? Se sí, perché? «È un’esigenza sempre più presente nelle persone. Le donne si sentono maggiormente schiacciare su più fronti: famiglia, figli, partner, lavoro, casa, ecc. Gli uomini vorrebbero fuggire da responsabilità economiche e professionali pressanti. Molte persone sarebbero disposte anche a rinunciare a una parte dello stipendio, pur di guadagnare tempo libero, ma le pressioni consumistiche famigliari lo impediscono. La tentazione di mollare tutto è piuttosto diffusa, anche in chi non riesce a liberarsi dalle complicazioni di relazioni affettive disfunzionali.» Non tutti possono permettersi un cambio di vita radicale ed estremo. Come si può quindi, rallentare il ritmo stressante della propria vita e riappropriarsene? Ci sono delle piccole abitudini quotidiane o dei percorsi da seguire che lei consiglia? «Si può iniziare eliminando inutili cianfrusaglie in casa, vecchi vestiti inutilizzati, fino a restringere anche la cerchia degli amici se necessario, e decidere di stare solo con quelli con cui ci si sente davvero se stessi. E poi una buona norma, prima di fare un altro acquisto è interrogarsi per valutare se è proprio necessario. Nel mio lavoro di Coach, un aspetto che le persone apprezzano molto è proprio la possibilità di prendersi uno spazio dedicato a se stessi per riflettere, per ascoltarsi in cerca di quelle risposte che abbiano un significato. Focalizzare i valori reali della vita, chiedersi cosa è davvero importante per se stessi, è un passo essenziale. Non basta fuggire da ciò che non va, occorre capire dove si vuole andare per essere più felici.» In che modo la figura del life coach potrebbe aiutare le persone a ricalibrare i ritmi della propria vita in base alle proprie esigenze più intime? «Il coach facilita l’acquisizione di consapevolezza, nel pieno rispetto delle persone e delle loro scelte. In genere le persone cominciano a parlare dei loro problemi, di ciò che non va, ma gradualmente riescono a mettere a fuoco gli obiettivi che vogliono raggiungere. Il coach, attraverso domande mirate, aiuta a riconoscere il senso dei propri obiettivi, a utilizzare tutte le risorse e le capacità per ottenere i risultati desiderati, nel modo più ecologico ed equilibrato possibile, rispettando tutte le aree importanti della vita. In un percorso di coaching, si esplorano livelli profondi della persona, ma con uno sguardo sempre rivolto al futuro e in modo pragmatico. In ogni sessione si definiscono azioni concrete da mettere in campo per cambiare la propria vita e prendere la strada che si vuole percorrere.» http://www.diredonna.it/una-vita-non-basta-intervista-con-la-life-coach-79969.html

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