Intervista ad Alberto Simone, psicoterapeuta, produttore, sceneggiatore e regista

Alberto Simone, nasce a Messina, ma vive e lavora a Roma. Laureato in psicologia, psicoterapeuta, studioso appassionato di filosofia, cultura orientale e spiritualità, svolge il suo percorso professionale nel campo della comunicazione. Ideatore di numerose campagne pubblicitarie soprattutto in ambito sociale, è oggi produttore, sceneggiatore e regista di film e fiction televisive di successo. Ha fondato “Il bicchiere mezzo pieno”, un gruppo molto seguito su Facebook, che ha già una sua versione inglese. Un punto di riferimento per chi cerca una risposta al proprio diritto di essere felici in questa vita. Alberto, hai fondato un gruppo su Facebook, stai scrivendo un libro, e il fulcro è sempre “la felicità”, un tema ricorrente. Cosa ti ha portato a voler trattare il tema della felicità? Probabilmente il fatto che considero la felicità un ingrediente centrale nella vita di tutti: basti pensare a cosa significa l’assenza della felicità nella vita di una persona. Noi oggi viviamo purtroppo una realtà in cui la felicità è un ingrediente sempre meno presente. Abbiamo un rapporto inversamente proporzionale tra i livelli di benessere e ricchezza che abbiamo conquistato in varie zone del pianeta, soprattutto occidentali, e i livelli di felicità raggiunti. In poche parole più abbiamo meno siamo felici. La felicità va riscoperta nella società, nel cuore e nell’anima delle persone: ricordando cioè alle persone che possono avere la possibilità di essere felici in questa vita, e che questa felicità possono ricercarla, oggi anche con degli strumenti e dei mezzi che prima non avevamo a disposizione. Cosa ti aspetti da questa intervista? Ciò che più mi fa piacere è condividere quello che io ho imparato fino ad oggi, nel corso della mia vita, quello che “ho trovato”. Un po’ come un Marco Polo che ad un certo punto nella sua epoca parte per delle terre sconosciute e lontanissime, sta via una quantità imprecisata di anni, e quando torna, ha poi la gioia di raccontare ai suoi concittadini quello che ha scoperto. Ecco, per me questa intervista ha lo stesso significato: è una delle occasioni che ho scelto per mettere in atto questa condivisone. La possibilità, in sintesi, di condividere proprio le cose che, in qualche modo, ho avuto la fortuna di comprendere, di conoscere o di intuire nel corso della mia vita. Quali sono secondo te, gli ingredienti per essere felici? Ci sono tre condizioni basilari per essere felici. La prima è l’appartenenza. Noi non siamo delle “monadi”, o delle “individualità” separate nell’universo che poi cercano di contattarne delle altre: noi siamo parte di un sistema e abbiamo bisogno di sentire che “apparteniamo” a qualcosa. La prima sensazione di appartenenza, il primo senso di identità che noi conosciamo è quello della famiglia. Ci riconosciamo nei nostri genitori, nei nostri fratelli, nella casa in cui abitiamo. Poi viene la scuola e il nostro senso di appartenenza inizia ad ampliarsi, e così via. La cosa certa è che nel momento in cui un essere umano non vive una condizione di appartenenza, si trova indubbiamente in una condizione di impoverimento personale. La seconda delle condizioni base, è la condivisione. Abbiamo tutti la necessità di condividere quello che viviamo, quello che scopriamo. Ad esempio, se andiamo a vedere un film che ci piace, che ci colpisce, difficilmente riusciremo a tenerci dentro quelle sensazioni, sicuramente ne parleremo con le persone che rivestono per noi una certa importanza o ne consiglieremo la visione ai nostri amici. Stessa cosa quando scopriamo un cibo nuovo, o magari un negozio con dei prezzi particolarmente convenienti : la condivisione dunque è un elemento naturale. Anche in questo caso, quindi, nel momento in cui l’essere umano non pratichi la condivisione, trattenendo delle informazioni importanti solo per se stesso, ecco che di nuovo si entra in una condizione di impoverimento. L’ultima delle tre condizioni base, è il senso del dare o lo spirito di servizio. Noi siamo programmati dalla natura per aiutarci e sostenerci l’uno con l’altro, dinamica che in tempi remoti è servita proprio per perpetuare la sopravvivenza della nostra specie su questo pianeta. Noi abbiamo conservato questa capacità di dare, e quando non la pratichiamo pensando solo a noi stessi, applichiamo un principio di “impoverimento” delle nostre possibilità. Quando invece diamo, non solo esercitiamo una prerogativa umana, ma il nostro intero stato di coscienza si espande. Come nascono queste tue riflessioni? Questa riflessione, è nata da un viaggio che ho fatto in Africa qualche tempo fa: viaggiando, mi capitava di incrociare dei villaggi estremamente poveri, fatti magari di quattro capanne, di una vita rurale, molto primitiva. E in tutto questo, ciò che mi colpiva di più erano i bambini, perché esprimevano un’intensa gioiosità che non potevi non percepire: ridevano, cantavano, erano felici per ogni tipo di novità, e quindi, inevitabilmente, mi chiedevo come fosse possibile che questi bambini scalzi, in una condizione di vita così precaria, potessero esprimere questa gioia e questa vitalità? E così pian piano, seguendo questo filo, ho cominciato a capire che loro avevano queste tre certezze, le tre condizioni base di cui parlavamo poco fa. La certezza di appartenere al loro villaggio, alla loro tribù e alle loro famiglie. La possibilità di condividere con la loro comunità di appartenenza ciò che si ha, probabilmente proprio in virtù del fatto che quando si ha poco, è più semplice e naturale che quel poco che si ha si condivida con gli altri. E infine, la necessità e l’indispensabilità del dare e dell’essere utili anche agli altri con la propria esistenza e non solo a se stessi: ad esempio quando in una capanna c’è un vecchio, anche malato o al tramonto della propria vita, al suo capezzale si alternano le persone del villaggio, magari solo per dargli conforto e compagnia. O molto più semplicemente, sapere che per mandare avanti il villaggio serva della legna o dell’acqua, e offrirsi di andarla a prendere per il bene della comunità. Senza voler imporre in qualche modo questo modello tribale, potremmo comunque sentirci maggiormente figli di questa terra e membri della famiglia umana, esercitando l’idea della condivisione e della solidarietà, nel nostro primario interesse di essere felici. Guarda i trailer della video intervista http://www.youtube.com/watch?v=mixkpBVB0LQ http://www.youtube.com/watch?v=IYAyAdkgsVQ http://www.youtube.com/watch?v=yy_FgMGhibE http://www.youtube.com/watch?v=_Re8cBLwLz0 Per contattare Alberto Simone:albertosimone@dauphine.it
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