Intervista a Sandro Fogli. Cineasta. La passione di essere innamorati.

Sandro Fogli cineasta, toscano di nascita, coltiva una passione fin dall’infanzia quando la visione di un film lo affascina a tal punto da legare a quest’esperienza ogni scelta futura. Laureato a pieni voti in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli studi di Pisa, discute una tesi sulla storia della critica hitchcockiana angloamericana. A Liegi, Belgio, scrive e dirige il corto La douche sotto la guida di Jean-Pierre Dardenne, due volte Palma d’oro a Cannes. Nel 2003 si trasferisce a Roma e con Vittorio De Sisti lavora come assistente alla regia volontario alla serie tv Orgoglio, iniziando così la carriera nella più antica casa di produzione cinematografica italiana, la Titanus. Collabora alla realizzazione di numerose serie e film tv e nel marzo del 2010 esce Hitchcock e la vertigine interpretativa, il suo primo libro. Attualmente ha in preparazione un nuovo libro e segue la lavorazione di un film per il cinema, diretto da Alessandro Tofanelli in terra toscana. Sandro cosa significa per te il talento? Questa è una domanda più difficile di quanto sembri… Ad un livello superficiale, credo si possa definire talento la spiccata propensione di un individuo per un’attività piuttosto che per un’altra, il sapersi distinguere, anche inconsapevolmente, in quell’attività, che sia la professione o un semplice hobby. Una persona può avere talento nel dipingere, nel suonare uno strumento musicale, spesso la parola talento è associata alle arti, ma anche un neurochirurgo può essere un talento, ti pare? A livello profondo, considerati i tempi in cui viviamo, credo che oggi perfino “vivere bene” sia un talento ed intendo la capacità di rispondere alle vicissitudini della nostra epoca in maniera pronta ed elastica, senza farsi scoraggiare. Come si fa a riconoscere il proprio talento? Se una mattina ti svegli e ti senti uno scrittore o uno scultore può darsi che quella sia la cosa per cui sei portato, come anche potrebbe accadere che tentando una strada collezioniamo una sconfitta dietro l’altra. Capire se si ha talento o no per qualcosa ritengo dipenda dalla nostra capacità di discernimento, da quanto siamo obiettivi. Spesso si è troppo rigidi con noi stessi. È probabile che intorno a noi ci siano persone che riconoscono il nostro valore meglio di noi. Credo che il confronto con gli altri sia un ottimo modo per scoprire se stessi. Quando è nata la tua passione per il cinema in generale e per Hitchcock in particolare? Sono cresciuto con un nonno per il quale la macchina fotografica e la cinepresa, la 8 millimetri, erano passioni incontenibili e avendo due genitori molto protettivi ho passato più tempo davanti ai film, al cinema o in tv, che in strada a giocare. Aggiungi il fatto che quando ero bambino io, negli anni ’80, la televisione era ben diversa da oggi! Niente reality, o talent, o simili. Solo tanto buon cinema e di tutte le epoche. Una domenica pomeriggio davano Il delitto perfetto di Hitchcock su una tv privata, di fronte a Grace Kelly, al technicolor degli anni ’50 e ad una suspense dosata come solo Hitchcock sapeva fare ho capito che quello che volevo fare nella vita erano i film. Volevo imparare a dare io quelle stesse emozioni che certe pellicole davano a me… Da cosa è alimentata la tua passione? È come “essere innamorati”. Ma innamorati davvero intendo! Nel senso che se di fronte alle difficoltà continui a crederci – sono concessi momenti di scoraggiamento, ma non troppo lunghi – e pensi che quella sia l’unica cosa che potresti fare nella vita… allora è passione. Poi, tutto può alimentarla. Il vedere che le persone che ti vogliono bene ne gioiscono o che i tuoi successi fanno star bene anche gli altri. Il tuo sogno nel cassetto? Arrivato a questo punto… Fare un film mio, come regista. Sono anni che faccio l’aiuto regista agli altri e nei periodi di inattività come questo scrivo… di cinema naturalmente (ride). Quali sono oggi i valori nei quali credi più profondamente nel tuo lavoro? Ho avuto la fortuna di incontrare un maestro pazzesco in questo mestiere; maestro di vita prima che di cinema: Vittorio De Sisti. Da lui ho imparato l’importanza di creare sempre un clima gradevole sul set. Dato che c’è sempre qualche problema da affrontare, qualche momento di tensione è importante imparare l’arte di stemperare. Oggi molti registi, quando qualcosa non va, fanno i capricci e gettano benzina sul fuoco. De Sisti era una persona “soavemente risolutiva”, passami l’espressione. Non si impuntava sulle cose e se c’era da cambiare programma al volo cercava la miglior soluzione. Che poi altro non è che rispetto per il lavoro degli altri. Per fare un film serve l’apporto di tutti ed è importante iniziare la giornata salutando con un caloroso sorriso sia il primo attore che l’attrezzista di scena, ricordando l’importanza di chi lavora dietro le quinte, che non ha né l’autista che lo va a prendere e riporta a casa, ne il truccatore e il parrucchiere che lo fanno bello. Cos’è importante per te ricordare ogni giorno? In questo periodo devo ricordarmi che quello che stiamo vivendo è un momento di svolta epocale… che se non sto lavorando, nel senso remunerativo del termine, non è perché non valgo… ma perché tutti stiamo attraversando quella ormai famosissima “crisi” che sta a noi decidere se porterà a cambiamenti in positivo o in negativo. Insomma, devo ricordarmi di pensare in modo creativo e di non farmi fregare da pensieri pessimistici, che mi porterebbero, forse, solo a fermarmi per aspettare che le cose cambino da sole. Che messaggio vuoi dare ai giovani talenti che desiderano intraprendere la tua professione? Chi vuole oggi “fare il cineasta”, intendendo per cineasta colui che ha a che fare col cinema sotto diversi aspetti (sceneggiatura, regia, critica), deve avere tanta, ma tanta pazienza… saper aspettare, continuare a credere nei propri sogni anche quando tutto rema contro… anzi! Coltivare l’ottimismo e la determinazione a maggior ragione se tutto rema contro… le cose ottenute facilmente si dice che non durino…
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