Intervista a Milton Fernandez. Vivere nella pelle degli altri, il valore dellintegrazione

Cultura vuol dire curiosità verso quello che ci sta intorno, creatività e connessioni tra le persone. Milton Fernandez, uruguajo e italiano di adozione è scrittore, attore, sceneggiatore e Direttore artistico del Festival della Letteratura di Milano. Tra i temi che predilige il valore della diversità e l’esperienza della migrazione e dell’integrazion evissuta anche sulla sua pelle. Milton come se iarrivato in Italia? Quando mi sono laureato alla scuola d’arte drammatica di Montevideo c’era la dittatura: i teatri chiudevano ed era molto pericoloso restare lì soprattutto per chi si occupava di cultura. Così sono venuto in Italia, pensavo di rimanere un anno e invece…ne sono passati trenta. In Italia come sei stato accolto? All’epoca l’Italia viveva in una dimensione serena, culturalmente privilegiata, siamo stati accolti con simpatia anche se da parte degli italianic’è una certadifficoltà ad accettare il fenomeno della diversità come parte della vita. Ad esempio sento ancora dire “questo non è un cognome italiano”. In Francia, adesempio, ci sono molti cognomi arabi ma lì, al contrario, sono più abituati di noi. Poi c’èanche la difficoltà dell’emigrato che ha lottato per ottenere la cittadinanza ma continua a sentirsi straniero. Una volta in una scuola un ragazzino nato in Italia mi disse “io sono Albanese”, “se dico che sono italiano mi sento in colpa con I miei genitori”. Quali tue risorse personali hai messo in campo trovandoti a vivere in un altro paese? Sicuramente la caparbietà. Devi imparare a stare di nuovo al mondo, a vivere nella pelle degli altri, ricominci a balbettare come quando eri bambino e quindi la caparbietà e lo spirito di sopravvivenza diventano indispensabili. Poi grazie all’esperienza della migrazione ho capito tante cose di me stesso. Ad esempio? Ho fatto l’ operaio, scaricato camion, ho scoperto che potevo lavorare anche con le mani. Poi all’inizio mi sentivo molto uruguayano, avevo i miei miti nazionali, la bandiera, i cantanti, ecc. Man mano mi sono trovato a condividere le difficoltà con esiliati cileni, argentini, salvadoreni, così ho ampliato il mio panorama mentale capendo che tra me e loro non c’era poi cosìtanta differenza. Oggi mi sento italiano, uruguayano e latino Americano, ho perso il radicamento locale e quando torno in Uruguay provo la sensazione di essere uno straniero, è il mistero della nostalgia, il dolore del ritorno. Secondo te che vantaggi porterebbe una reale integrazione della diversità in termini economici e sociali? Un laureato in Italia costa allo stato 200 – 250 mila euro, mentre quelli che arrivano da fuori non sono costati nulla, ovvero arriva un capitale culturale che pagherà le tasse in Italia ma che non ha avuto un costo reale. Naturalmente lo stesso vale per I braccianti e gli operai. Sei ideatore e direttore del festival della letteratura di Milano, che ruolo gioca la cultura nel processo di integrazione delle diversità? Cultura vuol dire curiosità verso quello che ci sta intorno, creatività e connessioni tra le persone. Quello della cultura dovrebbe essere il ministero più importante perchè da lì dipende il rapporto tra le persone, il rispetto dell’ambiente, il livello di criminalità di un paese. Spesso chi viene da altri paesi porta con sè un patrimonio cultruale millenario. Se andiamo oltre I banali stereotipi in cui le rumene sonobadanti e i marocchini vùcumprà possiamo scoprire i loro mondi ed esserne arricchiti. Proprio aquesto serve la cultura.
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