Intervista a Marina Osnaghi, Master Certified Coach – Il Coaching in evoluzione

Marina Osnaghi, veterana del Coaching, primo Master Coach certificato da ICF in Italia, è stata Presidente della Federazione Italiana Coach nel biennio 2004/2005. Professionista del Coaching a tutto campo, lavora con aziende, privati e ha una scuola di formazione di Coaching. Marina, tu lavori da diciassette anni come Coach in vari ambiti professionali, qual è la tua visione del Coaching in Italia? Dal punto di vista dei professionisti del Coaching, sicuramente è aumentato il numero dei coach certificati e di quelli che gravitano intorno alla Federazione Italiana (ICF Italia). Questo permette di offrire standard qualitativi verificabili. Quando ero Presidente, ero orgogliosa di dire che eravamo 110, ora i membri sono circa 400 (nel mondo circa 16.500 n.d.r.). Il territorio italiano è comunque ancora abbastanza vergine, è un campo che offre buone possibilità ai coach professionisti. Dal punto di vista delle aziende, c’è ancora tanta strada per fare comprendere cosa sia il Coaching, per far passare una giusta informazione. Indubbiamente molte aziende oggi conoscono ICF Italia, sanno che esistono standard qualitativi ed è aumentata la richiesta di coach certificati. Certo non siamo ai livelli dell’Inghilterra, dove il coach non lavora a meno che non abbia un assicurazione per coprire i rischi da fughe di notizie dalle aziende clienti. Il più grande cambiamento e che, al di là di grandi aziende come Telecom, Poste, Unicredit, Fiat, Finmeccanica, tanto per citare casi ormai noti, anche realtà più piccole ricorrono al Coaching per integrare percorsi di sviluppo del personale. Mi è capitato di essere contattata ad esempio da un padre di famiglia che ha una sua azienda agricola e mi ha chiesto di essere affiancato per gestire i suoi collaboratori. Per quello che riguarda i clienti privati, sono certamente aumentati, in relazione al crescente desiderio di crescere e svilupparsi che con gli anni si sta affermando. Considerando gli scenari fuori dai nostri confini, come si sta indirizzando il Coaching all’estero? Se penso all’America e alle recenti ricerche di ICF, c’è una notevole preponderanza di life Coach, rispetto ai Business e ai Corporate coach. Anche se nell’ultima conferenza ICF di Orlando, (a dicembre 2009), si è parlato di un’inversione di tendenza, c’è un tentativo di avvicinarsi di più all’azienda. Questo già accade in Inghilterra e in Francia. Il Coaching è una professione giovane. Ha iniziato a rivolgersi inizialmente alle persone, ma sempre di più si sta strutturando per essere una metodologia, che pur conservando un’estrema attenzione alla persona, può essere considerato uno strumento di sviluppo aziendale. Tenendo conto della tua esperienza, anche come formatrice, quali sono secondo te le competenze chiave del coach, quelle che fanno la differenza di un buon coach? Per quello che riguarda la qualità del Coaching, il servizio deve avere queste caratteristiche: obiettivi chiari, stabiliti fin dall’inizio, condivisi tra le parti, la costante verifica della realizzazione di questi obiettivi anche attraverso la presenza di osservatori di processo interni, nel caso del Coaching aziendale. Inoltre, una ferrea disciplina nell’applicare metodologie e le competenze ICF, nel rispetto e nel servizio della persona. È necessario che ci sia una struttura metodologica oltre che l’attenzione alla parte umana. Per quello che riguarda il coach, una differenza fondamentale la fa prima di tutto il continuo lavoro su se stessi, fatto di aggiornamento, studio, ma anche la crescita a livello di maturità umana. Il coach è al servizio di una serie di processi in cui non deve interferire, è uno specchio neutrale che contribuisce alla realizzazione di obiettivi. La sua capacità di sviluppare la neutralità è fondamentale. Io vedo il coach come uno strumento che continua a perfezionarsi e perciò si revisiona, si verifica, si fa supervisionare, fa i tagliandi come un motore, un motore con il cuore. È necessario un percorso di sviluppo personale oltre che studio e aggiornamento. Questo per me fa una di differenza fondamentale, Non posso concepire un coach che non abbia un suo coach o un mentor che supervisioni il suo lavoro e che gli dia dei feedback costruttivi per contribuire alla sua crescita umana, tecnica e professionale. Quale messaggio vuoi lasciare ai nostri lettori? Ai professionisti del Coaching, vorrei lasciare un messaggio che ha a che fare con l’attenzione al rigore, all’impegno ad applicare il Coaching con disciplina, metodo, tecnica, in una maniera etica al servizio del cliente. Infine vorrei lasciare un messaggio di gioia. Il Coaching è un atto di fiducia verso l’altro essere umano. Il Coach crede che qualunque cosa sia migliorabile e che l’essere umano abbia tutti gli strumenti dentro se stesso o possa procurarseli per ottimizzare una situazione e creare una trasformazione. Dal mio punto di vista questo è un buon metodo per innamorarsi sempre di più degli esseri umani. Attraverso il Coaching si può vedere come è possibile mettere in campo una serie di capacità al servizio di un obiettivo, in maniera genuina. Trovo che gli italiani mettono il cuore nelle cose, raro da trovare altrove. Forse mettono meno disciplina, ma il cuore, l’impegno, la dedizione sono ammirevoli, senza nulla togliere ad altri popoli, ma è una vera qualità come si dedicano alle cose quando costruiscono qualcosa in cui credono. Questo è un innamoramento che non passa mai, perché si alimenta. È un buon motivo per approcciare il Coaching, per farlo o sperimentarlo. Ho fiducia che l’attenzione alla parte umana e l’attenzione alla parte pragmatica, creano la possibilità di un buon risultato qualunque sia. Se si tratta la parte umana come un fiore che può sbocciare e che dà frutti e che produce risultati, sicuramente un miglioramento, un cambiamento, un obiettivo verranno raggiunti. Ci credo proprio e non ho dubbi in tal senso, ancora dopo tutti questi anni.
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