Il Cinema Insegna: Levoluzione dei primitivi

Certi popoli che noi chiamiamo “primitivi” hanno nelle loro coscienze una forma diversa di evoluzione. Non è il progresso dato dai centri commerciali o dalla tecnologia, bensì un progresso dello spirito, che a volte l’occidente non riesce più a comprendere. Non siamo preparati abbastanza per ammettere che la rabbia e il rancore corrodono solo la nostra anima, e non quella di chi ci ha fatto del male. Nella scena tratta dal film “The Interpreter”, Silvia è sospettata di essere l’attentatrice di un capo di Stato. Dovrà difendere il suo alibi; ma è possibile perdonare per “cultura”? Guarda la scena: http://www.ilcinemainsegna.it/ici/index.php?option=com_content&task=view&id=819&Itemid=34 “Chiunque perda una persona desidera vendetta su qualcuno, su Dio se non riesce a trovare nessun altro. Ma in Africa, in Matobo, i Ku credono che l’unico modo di estinguere il dolore è salvare una vita. Se qualcuno viene ucciso, un anno di lutto finisce con un rituale chiamato “La prova dell’uomo che affoga”. Per tutta la notte c’è una festa accanto a un fiume, e all’alba l’assassino viene messo su una barca, portato al largo e gettato fuori. E’ legato, così non può nuotare. La famiglia del morto deve fare una scelta: può lasciarlo affogare o raggiungerlo a nuoto e salvarlo. I Ku credono che se la famiglia lascia che l’uomo affoghi, avrà giustizia ma passerà il resto della vita nel lutto. Ma se salva l’uomo, se ammette che la vita non è sempre giusta, proprio quel gesto porterà via il dolore. La vendetta è una pigra forma di sofferenza”. Io non so se riuscirei a perdonare dopo un anno, ma posso imparare dai Ku per qualsiasi cosa, non solo per il “lutto”. Il perdono è una faccenda seria con la quale fare i conti, e quando non ci sforziamo di praticarlo di sicuro i conti, li faremo con le sue conseguenze:“la rabbia è come bere veleno, sperando che a morire sia qualcun altro“. Sean Penn ascolta la storia e abbassa lo sguardo, tanto è il senso di inadeguatezza di fronte alla saggezza dei Ku, così lontani dal nostro modo di vedere. Non è affatto facile, ma ci insegnano anche che al perdono “ci si arriva”, gradualmente, dopo aver dato spazio alle proprie emozioni, senza sopprimerle. Ti è concesso un anno, prima di decidere se quel fardello lo porterai per sempre. Per perdonare devi darti il tempo, proprio come vi è tra lo stimolo e la risposta. In quel tempo c’è spazio per le domande: – le persone si comportano per quello che sanno? oppure per come si sentono? – la vita è sempre giusta ? – è possibile tornare indietro? – che importanza avrà questo tra 10 anni? Ogni giorno nella nostra mente lasciamo che qualcuno affoghi, per avere vendetta. Ma fin quando non lo salveremo sarà sempre su quella barca, come un fantasma, quasi a ricordarci che con il perdono c’è ancora tanto da fare. I saggi ci ricordano che la rabbia persiste finché non hai ancora “imparato la lezione”, e che appena ne comprendi il significato, il peso lascia spazio alla leggerezza. Questo accade solo quando riesci ad interpretare ciò che ti è accaduto come un’ evoluzione positiva della tua vita. La risoluzione di una sfida che ti ha condotto ad un nuovo livello di consapevolezza. Con questa nuova prospettiva, chi ha scatenato il cambiamento non può, non deve “affogare”, ma va salvato. Insieme a lui, salvi te stesso. Sono proprio avanti i KU, come lo sono molte tribù dell’Africa. Mi viene in mente l’Ubuntu, una filosofia africana che sostiene: “io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”. Ad un gruppo di bambini fu detto: chi arriverà per primo al cesto di frutta , potrà tenerla e mangiarla. I bambini si presero per mano e corsero insieme. Quando gli fu chiesto il perché, loro risposero: a che serve essere felici, se gli altri non lo sono. Ubuntu dunque, come “l’uomo che affoga”, appartengono all’evoluzione dell’anima e non a quella della materia. Se nel nostro linguaggio questo vuol dire essere primitivi, allora insieme dovremmo fare qualche passo indietro e diventarlo sul serio.
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