Il Cinema Insegna: il coaching

Esiste un modo semplice per comprendere le cose. Accade quando in un istante, uno stimolo esterno si trasforma in apprendimento, e come la neve che silenziosa si poggia sul fondo, diventa uno strato di te: lo hai capito, lo hai afferrato, ormai è tuo. Può essere unastoria, unametafora, un’analogia, e a volte è la forza di tutte e tre queste cose insieme come può esserlo lascena di un film. Questi modi di facilitare l’apprendimento sono strumenti preziosi ad uso di coach e formatori che vogliono favorire il cambiamento senza inquinarlo con i propri punti di vista , e quando il cambiamento avviene solitamente è spontaneo ed elegante. La scena di un film può semplificare i concetti e allo stesso tempo essere molto più “potente” di mille parole, dal momento che ilcoachlascia per un attimo il coachee con se stesso e le sue riflessioni. Ho dedicato buona parte della mia carriera a studiare gli effetti del linguaggio cinematografico sull’uomo, traendone per primo i benefici. Oggi, forse un po’ di parte, ne sono diventato un maniacale sostenitore. Il portalewww.ilcinemainsegna.itcontiene centinaia di scene utilizzabili per gli scopi più disparati, con l’intenzione di “far crescere l’uomo attraverso i film”. Per questo considero un privilegio poter curare questa rubrica, un mezzo eccellente per diffondere la mia missione. Parlando di coaching è possibile richiamare alla memoria decine e decine di pellicole da “Coach Carter” a “Glory Road”, ed è probabile che questi film abbiano contribuito a cementificare la figura del coach proprio come è vista dall’immaginario collettivo. Ma noi sappiamo che non è sempre così . Il coach non è un supereroe, e sicuramente non fa dei “consigli” e dei “comandi” le sue azioni principali. Tutt’altro. Il coach è un individuo imperfetto che si propone di far riflettere e stimolare altri individui imperfetti. Il cinema qui ha delle grosse responsabilità. Tutti possiamo diventare coach, con le nostre debolezze e con le nostre eccellenze . Quello che ci proponiamo di fare attraverso questa rubrica è condividere “spezzoni” forse poco conosciuti, ma che almeno per un istante ci consentono di comprendere meglio alcune dinamiche della crescita personale e professionale, senza per questo scomodare colossal o best seller da botteghino. Il coach ha una priorità: individuare l’obiettivo e fare in modo che sia lo stesso coachee ad illuminarlo. In qualità di esperto dell’aiuto ci sono errori che proprio non si può permettere. Un buon esempio lo troviamo in una scena tratta dal film “Mr Beaver”. Porter si è costruito la fama di buon public speaker e in cambio di un compenso prepara i suoi compagni ad affrontare il discorso scolastico di fine anno. Puoi vedere la scena qui : http://www.ilcinemainsegna.it/ici/index.php?option=com_content&task=view&id=729&Itemid=34 Porter :che cosa vuoi dire? Norah :cosa voglio dire? Questo è il problema. (…) Porter :Va bene, quale stato d’animo dovrà avere la gente dopo il tuo discorso? Come spesso accade, le persone non hanno le idee chiare, sanno cosa “non vogliono”, ma hanno difficoltà a definire quello che “vogliono”. All’apparenza possono sembrare due facce della stessa medaglia, ma così non è. Lo sa bene Porter che gioca con la risposta di Norah“uhm …non mi ha deluso!” Il principio che c’è dietro è molto semplice: se “non vuoi che accada qualcosa” non è detto che accada proprio quello che vuoi, potresti comunque imbatterti in un risultato peggiore che non riesci ancora ad immaginare. Il coachee si accorgerà presto che trasformare il suo obiettivo “lontano da qualcosa” in un obiettivo “verso qualcosa” aggrega molte energie prima disperse nelle vie di fuga, e quando l’obiettivo diventa più chiaro, di per se aumenta anche la motivazione. “Ogni persona ha tutte le risorse per riuscire”è un presupposto del coaching, e anche qui Porter sembra preparato. Chiede a Norah di parlargli di qualche aneddoto personale, di qualche interesse nascosto. Sa che la risposta alla domanda “di cosa vuoi parlare?” può arrivare solo da lei stessa e non dall’esterno. Parlando di “public speaking” è possibile toccare le corde emotive del proprio pubblico solo quando non sei tu a parlare, ma la tua passione. E infine il coach crede nell’altro e nelle sue capacità, anche quando l’altro non ne ha ancora dato prova tangibile: Norah:Perché ci tieni tanto a vederli? Porter:Mi piace essere sorpreso! Porter lascia intendere che Norah ha creato qualcosa di bello, qualcosa che vale la pena di rispolverare. Tutto questo è accaduto ancor prima di passare all’azione, e prima di scrivere il copione del discorso per il quale è stato incaricato. In questo clima di apertura e di stima reciproca i due protagonisti si avviano a collaborare per dare ognuno il meglio di se: (1) Definire l’obiettivo trasformandolo in “positivo” (2) Far emergere le risorse necessarie ad affrontare il percorso (3) Credere nell’altro, a prescindere Sembra essere una buona traccia per cominciare un viaggio. Continueremo nel tempo ad aggiungere tasselli, pezzi di film qua e la che ci aiutino a comprendere meglio, quello che in realtà sappiamo già, ma abbiamo dimenticato.
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