Lettera aperta di un disoccupato.

Ho conosciuto Giuseppe Perlin alla Casa del Volontariato dove partecipavamo entrambi ad un corso di aggiornamento. Quando mi ha raccontato alcune esperienze della sua vita mi ha colpito per la capacità straordinaria di riuscire a trovare gli aspetti positivi anche in quegli eventi che ci mettono a dura prova come possono essere la malattia e la disoccupazione. Leggendo la sua lettera mi sono commossa ed emozionata per la forza, l’energia e l’intensità che mi ha trasmesso. Ringrazio di cuore Giuseppe per avermi dato l’opportunità di condividere anche con tutti i lettori di Coachingtime la sua lettera. Mi era già capitato in passato di rimanere senza lavoro, ma per fortuna sono sempre riuscito a reinserirmi abbastanza velocemente, tanto da non vivere questa esperienza come un grosso problema. Oggi, nel bel mezzo della più grande crisi economica del mondo occidentale, all’età di 57 anni mi ritrovo nuovamente nella stessa situazione. Purtroppo, questa volta mi accorgo che la situazione non è per niente la stessa e che è già maturata in me la certezza di vivere il peggior momento della mia vita. Questa convinzione nasce dal fatto che nelle occasioni precedenti non mi sono mai sentito un disoccupato. Ero più giovane, non c’era questa forte crisi, la mia professione di informatico era tra le più richieste del mercato e pertanto non ho mai avvertito quelle sensazioni di crisi o di incertezza che assalgono spesso l’uomo quando si trova davanti ai cambiamenti importanti della propria vita. Si, oggi questa sensazione di crisi personale c’è ed è anche molto forte. Lo capisco, ad esempio, dal notevole senso di colpa che mi pervade e che mi spinge continuamente a trovare una risposta alla domanda: “Ma dove ho sbagliato?”. Capisco di essere in crisi perchè sono convinto che, in queste condizioni, sarà arduo trovare un lavoro, e perché penso che non dipenda più da me, arrivando anche al punto da considerare la società il vero capro espiatorio di tutti i miei mali. Ho riflettuto molto su questo modo particolare di vivere l’inedito ruolo di uomo disoccupato e ciò mi ha portato alla mente le precedenti esperienze di crisi. Riesaminandole, ho trovato che in passato le difficoltà sono state superate solo quando ho tirato fuori tutta la mia forza e contemporaneamente ho accettato il sostegno di chi si è reso disponibile per aiutarmi. La crisi che sto vivendo ha molte assonanze con quella in cui mi sono imbattuto poco più di vent’anni fa: la scoperta di avere un cancro, la malattia più democratica al mondo perché può colpire all’improvviso tutti, senza distinzioni. Ha colpito anche me, a trentacinque anni, senza darmi il tempo di prepararmi e capire cosa vuol dire avere un cancro e soprattutto cosa fare quando si ha un cancro. Oggi il mio cancro si chiama disoccupazione e mi ci sono ritrovato dentro senza grandi segnali, anche perché finché si lavora si è convinti che i disoccupati siano solo e sempre gli altri. Anche vent’anni fa, dopo la diagnosi mi sono chiesto: “Ma perché proprio a me? Ho sempre fatto una vita sana, sportiva, senza bere, né fumare.” L’intervento dei medici mi ha salvato la vita, ma io ho continuato a credere che non sarei mai guarito e con questa mia personale convinzione ho continuato a vivere con il “freno a mano tirato” per altri lunghi cinque anni. Ho raggiunto la guarigione psicologica solo quando sono entrato a far parte di una associazione di ex pazienti oncologici, con i quali ho avuto modo di scambiare le comuni esperienze emotive, che mi hanno permesso di riacquistare la forza necessaria per convincermi di essere veramente guarito. Oggi, sto facendo in pratica la stessa cosa. Mi sono iscritto ad un inedito corso formativo per disoccupati, propedeutico alla formazione di gruppi di auto mutuo aiuto. Alla Casa del Volontariato e dell’Auto Mutuo Aiuto di Pordenone mi sono ritrovato con una quarantina di altre persone che stanno vivendo la mia stessa esperienza. I vari docenti che sono intervenuti ci hanno presentato i molteplici aspetti che toccano la nostra condizione sociale, perché è bene ricordarlo che la disoccupazione è una condizione sociale e non una malattia, anche se le due cose hanno delle analogie. Ci hanno parlato di come il nostro problema si stia allargando sempre più e sia figlio di una società malata, dove il più grande nemico è il tempo e pertanto siamo tutti obbligati ad agire subito e bene, senza sbagliare mai. Ci hanno anche detto di non aspettare che sia la società a toglierci le castagne dal fuoco, ma dobbiamo intervenire noi per trovare la soluzione, mettendo in gioco la nostra forza interiore. Così ho scoperto che anche i disoccupati sono forti! Devo dire che fin dal primo incontro ero curioso di vedere come sono fatti i disoccupati come me, neanche esistesse ormai uno stereotipo, naturalmente negativo, per classificarci. Invece, siamo ancora tutte brave persone: giovanotti, belle ragazze, signore, operai, impiegati, ingegneri, avvocati e, se ci incontrassero per strada, nessuno direbbe che siamo persone senza lavoro. Mi accorgo, nello scrivere questa lettera, che continuo a identificare i miei compagni col nome della loro ultima professione, forse perché inconsciamente provo anch’io un po’ di vergogna per la nostra condizione. Per fortuna, restare senza lavoro non ha cambiato la nostra immagine fisica, quello che cambia invece è il nostro modo di relazionare con gli altri. Durante gli incontri del mio gruppo di auto mutuo aiuto, noto per l’ennesima volta come la stessa realtà venga vissuta dai singoli in modo diverso e personale, dove le riflessioni di ognuno di noi vadano quasi sempre a toccare prima le emozioni e i sentimenti, lasciando in coda gli aspetti concreti che si muovono attorno al dio denaro. Delusione, speranza, rabbia, sconforto sono parole quasi sempre presenti nelle osservazioni che ci scambiamo. Noto anche che lo facciamo in modo pacato, educato e senza eccessi, intervenendo e ascoltando a turno, facilitando di molto il compito di chi coordina il gruppo. Esattamente l’opposto di quello che accade nei vari talk show che ci propina la nostra “Grande Sorella” televisione, dove tutti si sentono autorizzati ad alzare la voce, ad interrompere chi sta parlando e magari anche ad offendere. I nostri piccoli sfoghi ci portano spesso ad accusare la società di un sacco di infamie, ma poi torniamo con i piedi per terra, ricordandoci che la prima vera palestra di vita è la famiglia. Non dobbiamo dimenticare che tanti problemi della società di oggi arrivano dalle famiglie in crisi. Padre e madre escono al mattino a lavorare (beati loro…), i figli vanno a scuola, al pre scuola e al dopo scuola; alla sera li aspetta una rapida cena e poi subito via davanti alla tv con il telecomando in mano o davanti allo schermo di un pc per navigare in internet, entrare su facebook o guardare con la webcam il faccione di un amico, che magari abita al piano di sotto! E comunicare quello che c’è dentro di noi non conta più nulla? Un papà, una mamma e i loro figli, dopo qualche anno trascorso in quel modo, sono sicuri di conoscersi ancora? In caso di bisogno sapranno aiutarsi? O daranno ancora la colpa a questa società malata e per di più spietata? Dall’alto della mia esperienza, sono convinto che la maggior parte dei contrasti e dei conflitti che ci troviamo davanti hanno origine da una cattiva comunicazione e questo vale sia dentro la famiglia, sia fuori. Non solo non siamo più capaci di comunicare, ma addirittura pensiamo di saperlo fare molto bene. Lo so, il mondo andrà avanti così e tutti sono ormai convinti che non si possa più tornare indietro. Allora teniamoci pronti, perché assisteremo tra non molto alla nascita dei primi gruppi di auto mutuo aiuto rivolti alle famiglie che non sanno più comunicare e vogliono ricominciare a farlo e cioè a parlare, ad ascoltare, ad osservare, a riflettere, a condividere, naturalmente tra le mura domestiche. Nel depliant della Casa del Volontariato ho letto: “A sopravvivere, non sono i più forti o i più intelligenti della specie, ma i più bravi a reagire ai cambiamenti, quelli che riescono a mettere al loro servizio e non contro di sé le proprie emozioni.” Io ho trascorso gran parte della mia vita professionale lavorando in mezzo ai computer, ma fuori dall’azienda ho cercato di curare le mie altre relazioni: la famiglia, gli amici, lo sport, il volontariato. Non sempre è stato facile, tanto è vero che ho perso il mio primo rapporto coniugale. Non sono stato capace di comunicare e la famiglia ne ha patito le conseguenze. Non si può tornare indietro, ma dall’esperienza del passato si può e si deve trarre gli stimoli giusti per essere pronti a cambiare vita, soprattutto nei momenti più duri. Oggi sono di nuovo sposato, ho una moglie che amo, ho un figlio meraviglioso e grazie a loro la mia autostima come papà e marito è elevata. Questo spiega come io riesca ancora a trovare dentro di me l’energia necessaria per affrontare la mia crisi lavorativa. Anche se ha solo 7 anni, ho spiegato comunque a mio figlio le difficoltà in cui si trova la nostra famiglia e che pertanto dobbiamo cercare di limitare le nostre spese. Pochi giorni dopo, sapendo che avevamo già deciso di acquistare un nuovo albero per il nostro giardino, lui ha preteso di pagarlo con i suoi risparmi e, banconote alla mano, l’ha personalmente pagato al vivaista. Bene, lui ovviamente non ha mai partecipato a corsi di auto mutuo aiuto, ma quello che ha fatto il mese scorso dimostra che i bambini spesso sono abili più di noi nel trovare soluzioni semplici e dirette, perché hanno ancora la mente sgombra da tutti quegli schemi mentali che noi adulti ci costruiamo strada facendo. Questo “scambio” di emozioni tra me e mio figlio ha un valore immenso e con orgoglio lo ricorderò per sempre. Nella fiaba della nostra vita io per lui impersono l’eroe su cui può sempre contare e perciò devo stare attento a non deluderlo mai; ma per far questo devo essere io il primo a crederci, anche e soprattutto nei momenti difficili. Non so se i figli degli altri sono così, ma il mio sì e, devo essere sincero, gran parte del merito è sicuramente di mia moglie, che ci ha “allenato” a comunicare, a condividere, a scambiare le nostre idee e le nostre emozioni. In un incontro formativo di qualche anno fa, a cui ho assistito nel mondo del volontariato, ricordo una citazione che diceva che se tu dai 1 euro a me e io do 1 euro a te, alla fine dello scambio entrambi abbiamo ancora 1 solo euro. Ma se tu dai un’idea a me e io do un’idea a te, alla fine dello scambio entrambi abbiamo a disposizione due idee. Inoltre, aggiungo io, gli euro una volta spesi non ci sono più, mentre le idee, buone e meno buone, rimangono in portafoglio. Il portafoglio delle idee è la nostra mente, quello delle emozioni si chiama cuore. Quello che ho in questi due portafogli, mi spinge a dire che oggi sento il bisogno di percorrere nuove strade. Non tengo ambizioni di carriera, non devo diventare un imprenditore, mi basta un lavoro dove applicare le mie competenze professionali, acquisite in oltre trent’anni di lavoro, e poterle unire alle mie doti umane, maturate lungo tutto l’arco della mia vita. Anch’io condivido il pensiero di quelli che affermano che nella vita se si fanno sempre le stesse cose, si rimane per forza quelli che si è. Ecco perché aspiro a non fare più l’informatico. Voglio aggiungere qualcosa di nuovo dentro di me! Caro lettore, chiunque tu sia, genitore, studente, assistente sociale, psicologo, medico, imprenditore, sacerdote, prefetto, sindaco, grazie per avermi letto fino in fondo e soprattutto complimenti, perché così facendo hai dimostrato di saper comunicare, in questo caso ascoltare. Caro lettore, se sei invece un disoccupato come me, i complimenti valgono il doppio ed auguro anche a te di ritrovare presto un lavoro. A proposito, quando ti presenterai al prossimo colloquio, non dimenticare a casa la tua forza e ricorda che, sempre nella vita, gli occhi degli altri ci guardano come il nostro cuore ci presenta. Detto questo, ho deciso che non sono più il disoccupato di cui sopra, ma sono semplicemente una persona in attesa di lavoro, un po’ “depresso” ma non troppo, un po’ triste ma non sempre. Sì è vero, sono povero…ma solo di soldi. PS. Grazie di cuore a tutti gli operatori della Casa del Volontariato e dell’Auto Mutuo Aiuto di Pordenone per l’ottimo lavoro svolto. Mi sono sentito veramente a casa di amici! Giuseppe|||
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