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Intervista a Giuseppe Meli, Margaret Krigbaum e Laura Quintarelli (1°parte)

Piccoli coach crescono. Le opportunità della supervisione. Come molti altri professionisti, anche per i coach lo sviluppo del loro stile e delle metodologie di lavoro, dipendono dai percorsi formativi, dalla pratica, dal costante aggiornamento e dalla supervisione per fare crescere ed evolvere le competenze alla base del proprio modo di lavorare. Una scuola estiva, per approfondire i principi e le tecniche della supervisione, condotta da tre Master coach con esperienze internazionali, era un’occasione da non perdere. Ho così trascorso alcuni giorni con Margaret Krigbaum, Giuseppe Meli e Laura Quintarelli, che hanno contributo ad innalzare il livello di competenze, la consapevolezza dei punti di forza e delle aree da migliorare di un gruppo di coach peraltro già esperti. L’occasione era preziosa per chiedere loro un’intervista da condividere con i lettori di Coaching Time, che proponiamo in tre parti. L’International Coach Federation stabilisce 11 competenze, un set di sessantanove abilità e un codice etico piuttosto articolato, che illustrano come un coach dovrebbe interagire con i propri clienti. Quali sono i passi consigliabili per un coach che voglia allenare e sviluppare le competenze acquisite nei percorsi formativi? G.M.I percorsi formativi aiutano ad avere un set di competenze di base ed è da quelle che un coach comincia a sviluppare la sua vera competenza, attraverso l’esperienza che farà con i clienti reali durante e, soprattutto, dopo la sua formazione. Le competenze acquisite nei percorsi formativi sono spesso comprese più ad un livello cognitivo che ad un livello relazionale e pratico. Solo la pratica reale consente di integrarle e farle evolvere. E’proprio nel momento in cui il coach fa esperienza con i suoi clienti, iniziando a sviluppare il suo stile, basato sulle competenze apprese, che può acquisire delle cattive abitudini. Quello è il momento in cui il confronto con altri coach più esperti diventa essenziale. Quindi dopo un po’ di esperienza nella quale sono messe in pratica le competenze, è fondamentale avere delle brevi supervisioni che aiutino il coach a focalizzarsi su quelli che sono gli elementi magari dimenticati di ciò che si è avuto nella formazione, o quelli che – durante l’esperienza – sono risultati meno chiari. Credo quindi che la supervisione o il mentoring, con un coach più esperto, siano il passaggio giusto per sviluppare in modo efficace le competenze. ICF prevede e richiede nei rinnovi della certificazione, una pratica di mentoring. A mio parere, è importante che questo confronto avvenga periodicamente, che diventi un’abitudine per il coach che vuole davvero integrare quelle competenze e personalizzarle. Fare dei brevi cicli di supervisione, 5 – 6 sessioni, applicare quanto appreso, ritornare per verificare l’evoluzione e così via. Naturalmente, oltre alla supervisione, il confronto nei programmi formativi che si focalizzano su specifici aspetti del coaching, quelli che vogliono essere approfonditi e soprattutto che offrono la possibilità di avere un approccio coaching diverso da quello studiato nella propria scuola di origine, possono arricchire molto oltre che garantire un continuo confronto con altre persone che sono in un cammino di sviluppo ed evoluzione. L.Q. Un coach che esce da un percorso formativo ha bisogno di sviluppare dei veri percorsi di coaching con i suoi clienti, perchè spesso durante la formazione si lavora in termini esperienziali su percorsi che iniziano e finiscono in una sessione. Quindi ci sono una serie di competenze meno sperimentate durante la formazione, come la gestione dei progressi e delle responsabilità o la definizione dei piani di azione. Ci sono delle competenze che rimangono un po’ meno esperimentate nella pratica, durante i percorsi formativi, che invece sono fondamentali in un processo di coaching. Quindi se un coach che ha terminato la sua formazione comincia ad avere delle esperienze di processo, magari con quattro, cinque sessioni con lo stesso coachee, riesce con il suo supervisore ad illuminare il suo atteggiamento, la sua comprensione, il suo livello di competenza in quella specifica area del processo di coaching. Cosa fa la differenza in termini di eccellenza nel coaching? M. K. Considerando la mia esperienza, tutti I coach che conosco che hanno raggiunto una vera maestria, hanno dedicato tempo, energia, emozioni e risorse (comprese quelle economiche) per diventare coach eccellenti. Tutti loro, senza nessuna eccezione, hanno fatto e continuano a fare queste cose: hanno ricevuto la loro formazione iniziale al coaching in un vero e solido programma di formazione al coaching che si è svolto in un periodo di tempo significativo e il cui contenuto è stato sviluppato in almeno 130 ore di formazione. Praticamente tutti loro hanno frequentato programmi riconosciuti per la loro alta qualità, nel loro paese o nel resto del mondo. Oltre a questo, si sono dedicati profondamente ad offrire coaching e a formarsi continuamente. Hanno costruito forti relazioni con altri eccellenti coach. Si sono impegnati in programmi di coaching per loro stessi, come clienti. Hanno cercato attivamente ulteriori apprendimenti e possibilità di sviluppo per loro stessi, come esseri umani e studenti, partecipando a programmi formativi sia collegati al coaching sia riguardanti altre aree. Hanno sempre realmente creduto che i loro clienti sono esseri umani capaci e hanno, quindi, trattato i loro clienti come veri partner nella relazione di coaching, anche riconoscendo che i loro clienti in realtà, non avevano bisogno di loro come coach. Infine, tutti loro, senza nessuna eccezione, hanno continuato a ricevere supervisione sul loro coaching, durante tutta la loro carriera, senza mai sentirsi arrivati rispetto alle possibilità di miglioramento come coach. G.M.In aggiunta, c’è innanzitutto un’attitudine del coach, il desiderio di voler contribuire alla crescita propria e degli altri e questo porta anche a porsi nelle esperienze formative e di sviluppo innanzitutto in una posizione molto umile, di persona che dice: ok questo percorso serve innanzitutto a me e mi permette poi di migliorare ciò che posso offrire ai miei clienti, cioè la qualità della loro vita. ICF richiede 10 ore di mentor coaching per certi livelli di certificazione. Io resto molto sorpreso quando mi chiedono mentoring per raggiungere le 10 ore utili alla certificazione. Mi aspetterei che me lo chiedessero perché vogliono crescere come coach, essere più utili ai loro clienti ed ottenere qualcosa di migliore nella propria vita. L.Q. Secondo me, se faccio riferimento al contesto ICF in cui ci sono dei livelli e quindi c’è una livello di eccellenza a cui tendere, quello che può fare la differenza in un coach è entrare in una dimensione di costante e continuo sviluppo. Quindi entrare in una dimensione in cui non sente mai di aver raggiunto un singolo livello, ma è pronto a sfidarsi, ad apprendere, a cambiare modo, a sperimentare, a osservare altri coach, a studiare in altre scuole, ad avere vari supervisori. Una sorta di messa in discussione del livello di appartenenza raggiunto in quel momento e porsi delle sfide di miglioramento e di sviluppo. Questo a prescindere dai livelli di certificazione ICF. Un percorso di arrivo è un percorso di partenza di una ulteriore area di sviluppo.|||

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