Intervista ad Alberto Simone (2ª parte), psicoterapeuta, produttore, sceneggiatore e regista

Alberto Simone, nasce a Messina, vive e lavora a Roma. Laureato in psicologia, studioso appassionato di filosofia e cultura orientale, svolge il suo percorso professionale nel campo della comunicazione. Ideatore di numerose campagne pubblicitarie soprattutto in ambito sociale, è oggi sceneggiatore, produttore e regista di film e fiction televisive di successo. Ha fondato “Il bicchiere mezzo pieno”, un gruppo molto seguito su Facebook, che ha già una versione inglese. Quali sono gli elementi che permettono ad una persona di dire “Io sono felice”? Per poter dire “Io sono felice”, devi innanzitutto sapere cosa voglia dire “Io non sono felice”. Questo è il primo passo ed è quello con cui ognuno di noi più facilmente si può accostare a questo tema.È estremamente più facile avere una percezione della propria infelicità, o non felicità, piuttosto che una percezione di cosa sia la felicità. Questo per una serie di ragioni. Prima fra tutte, perché fin dalla nascita abbiamo la straordinaria capacità di complicarci la vita, e quindi è più facile sottolineare le cose che ci mancano, rispetto a quelle che abbiamo. Se capisci lo stato della non felicità, puoi porre rimedio ad alcune “disfunzioni” che ci sono. Quindi l’infelicità ha un valore… Se non avessimo una condizione di infelicità, la mancanza di felicità non creerebbe alcun problema. L’infelicità è esattamente il rovescio della medaglia della felicità. Per cui, o c’è l’una, o l’altra, esattamente come il giorno e la notte, la luce e il buio. Se tu hai l’una, non puoi avere contemporaneamente l’altra. Però, il buio e la luce sono due elementi perfettamente interconnessi tra di loro: l’uno non può esistere senza l’altra, si definiscono reciprocamente. Non è un discorso ontologico ma semplicemente questo: il non vissuto della felicità, la non esperienza della felicità non definisce una zona neutra, definisce uno stato di infelicità. Quindi, in questo senso, è molto importante per tutti noi capire che cosa è la felicità Cosa hai imparato dai tuoi momenti infelici, per poter avere questa visione che definirei “più saggia” dell’infelicità stessa? La mia infelicità è stata quella, probabilmente, che ogni essere umano attraversa in questo mondo: è stata legata a delle perdite, a dei lutti; è stata legata al non raggiungimento di cose desiderate e mai accadute, a delle mancanze spesso più percepite che reali. Credo che la mia infelicità sia legata a quello che, normalmente, come esseri umani non ci fa’ felici. Ma credo che la cosa che più di tutte rappresenti una condizione di infelicità, è l’allontanarci dalla nostra vera natura. Questa è una condizione che non può essere colmata da nessun’altro tipo di obiettivo raggiunto nella vita. Oggi, ad esempio, molte persone desiderano diventare molto famose, molto ricche e conosciute, vogliono avere molti soldi o possedere molti beni materiali. Ma perché spesso tutto questo, alla fine, non coincide con una condizione di autentica felicità? Per tanti motivi. Primo, perché tutte queste cose anche se vengono raggiunte, non possono durare per sempre. Sono tutte condizioni in qualche modo mutevoli, non permanenti. Spesso per raggiungere quella che riteniamo una condizione“di felicità”, facciamo un gravissimo errore: ci allontaniamo dalla nostra vera natura, da ciò che siamo veramente. Cominciamo a scendere a compromessi con tutta una serie di cose: con il nostro tempo, con le persone con le quali abbiamo a che fare, a volte anche con i nostri valori, andando in qualche modo a contraddire le stesse cose in cui crediamo pur di ottenere un risultato. Allontanandoci dalla nostra natura, qualsiasi obiettivo o raggiungimento, non ci renderà mai davvero felici, così come noi pensavamo. Quando invece siamo identificati con chi siamo veramente, in connessione col nostro essere più profondo, siamo in una condizione che nessuno e nulla può toglierci. Quindi, la perdita della nostra natura è la prima delle condizioni per essere infelici. L’essere nella nostra natura è, di contro, la prima delle condizioni per essere felici. Come “essere ciò che si è”, entrare cioè in contatto con la parte più intima e più profonda di se stessi? Nell’antica Grecia, nell’Acropoli, c’erano molti templi, ed il più grande e maestoso era quello dedicato ad Apollo. Su questo tempio c’era un’effige, in greco, che recitava “Conosci te stesso”. Io mi sono chiesto, spesso, perché queste persone, che avevano fatto una grande ricerca sulla natura umana, abbiano ritenuto che questa frase, appunto “Conosci te stesso”, potesse contenere in sé il fulcro di tutto… credo perché alla fine se si arriva all’estratto, al distillato di tutte le conoscenze, conoscere se stessi è, con ogni probabilità, il cammino più importante che ognuno di noi deve compiere nella propria esistenza. Èun cammino impervio, difficile, pieno di trappole e deviazioni, anche di disillusioni, ma è sicuramente quello che tutti noi dobbiamo fare. Sembra una contraddizione, perché tu nasci, ed hai una natura: perché quindi poi devi faticare così tento per tornare ad identificarti con la tua natura, come dire, a “ri-conoscerti”? Però, per qualche misterioso motivo, quello che noi facciamo cominciando a vivere, è allontanarci proprio da quella natura. Ci sono le aspettative degli altri su di noi, ma anche ciò che noi facciamo a noi stessi pensando che se saremo in un certo modo avremo in cambio amore, accettazione, riconoscimento. Tutte cose di cui non possiamo fare a meno ma che “corrompono” in qualche modo la nostra vera identità. Poi, ad un certo punto, se siamo fortunati ed accade qualcosa che ci fa capire che siamo su un percorso sbagliato, iniziamo un viaggio di ritorno verso la nostra casa, verso la nostra vera natura. Quindi il conoscere se stessi è un po’ lo scopo dell’esistenza. Per contattare Alberto Simone:albertosimone@dauphine.it
I commenti sono chiusi.