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Intervista a Giuseppe Meli, Margaret Krigbaum e Laura Quintarelli (2°parte)

Piccoli coach crescono. Le opportunità della supervisione Come molti altri professionisti, anche per i coach lo sviluppo del loro stile e delle metodologie di lavoro, dipendono dai percorsi formativi, dalla pratica, dal costante aggiornamento e dalla supervisione per fare crescere ed evolvere le competenze alla base del proprio modo di lavorare. Una scuola estiva, per approfondire i principi e le tecniche della supervisione, condotta da tre Master coach con esperienze internazionali, era un’occasione da non perdere. Ho così trascorso alcuni giorni con Margaret Krigbaum, Giuseppe Meli e Laura Quintarelli, che hanno contributo ad innalzare il livello di competenze, la consapevolezza dei punti di forza e delle aree da migliorare di un gruppo di coach peraltro già esperti. L’occasione era preziosa per chiedere loro un’intervista da condividere con i lettori di Coaching Time, che proponiamo in tre parti. Perché è così importante la supervisione e che differenza c’è con il mentoring? M.K.Ritengo che, complessivamente, dedichiamo troppo tempo nel cercare di fare una distinzione fra queste due parole e questo fatto ci distrae dall’idea principale. L’idea più importante è quella di ricevere coaching sul coaching. Secondo me, questo impegno dovrebbe includere tutte le possibili forme di feedback sul proprio coaching offerte da supervisori esperti. Se hai un livello di PCC o di ACC i supervisori dovrebbero essere persone che hanno un livello di MCC o un esperienza decisamente molto più significativa della tua e che siano decisamente più avanti nel viaggio che porta a diventare coach eccellenti. Questi feedback dovrebbero includere la discussione delle tue esperienze reali di coaching, trattate come casi di studio; dovrebbero contenere suggerimenti rispetto a situazioni che sono nuove per te, in particolar modo se possono riguardare temi che abbiano potenziali aspetti etici da tenere in considerazione e, infine, la cosa più importante è che il supervisore ti senta fare coaching ai tuoi clienti per poter attivare una conversazione sul tuo attuale livello di coaching e perché tu possa ricevere utili feedback. Se un coach si impegna in tutti e tre questi aspetti, richiesti per raggiungere un livello di maestria nel coaching, la distinzione fra supervisione e mentoring diventa irrilevante, in quanto il coach è orientato ed impegnato a sviluppare le sue competenze come coach in tutti i modi possibili. G.M. La supervisione è importantissima perché un coach non può osservarsi mentre fa coaching. Può certamente registrarsi e successivamente ascoltarsi, ma lo fa dalla prospettiva del suo livello di competenza e del suo livello di esperienza. La supervisione è fondamentale perché offre al coach la possibilità di avere un osservatore qualificato che gli fa vedere qualcosa che da solo non può vedere. Potrebbe chiedere delle informazioni ai suoi clienti, ma i suoi clienti non sono coach. Possono parlare dell’esperienza, ma non fornire delle informazioni su un’area cieca, relativa alle competenze di coaching. Tra mentoring e supervisione, a mio parere, c’è una discreta sovrapposizione. Il mentore storicamente è la persona più esperta in una data professione che accompagna e da informazioni a una persona più giovane in quel tipo di esperienza. Questo avviene anche nella supervisione. Quindi, il mentoring è una parte fondamentale in un processo di supervisione, quest’ultimo ha, al suo interno, anche altre possibilità. La possibilità, per esempio, di osservare sessioni dal vivo e di riconoscere come il coach si relaziona con diversi tipi di clienti, come sviluppa un percorso di coaching, ecc.. Se il mentoring è un accompagnamento di un coach più esperto ad un coach più giovane, la supervisione è lo stesso un accompagnamento, che utilizza una pluralità di metodologie, in modo da osservare una serie di cose che la sola conversazione di mentoring non permette di osservare. L.Q.La supervisione, che include il mentoring, offre delle dimensioni di indagine e di scoperta del coach stesso più ampie. La supervisione è così importante perchè sono proprio le cose che il coach pensa che funzionino nel suo modo di fare coaching che rappresentano le aree di rischio più grande per quel coach. Perchè quando un coach inizia a fare pratica, ad avere clienti, a sviluppare la sua professione, può crearsi la convinzione che ci siano certi comportamenti, certi step, certe domande, certi snodi all’interno del percorso di coaching che sono funzionali e proprio lì perdere magari il contatto sull’estrema personalizzazione del percorso rispetto al coachee. Ma lo fa con la buona convinzione che quello supporti il suo cliente a raggiungere i risultati desiderati. In un certo senso quindi la possibilità, attraverso la supervisione, non solo il racconto del caso, ma anche l’osservazione di una sessione reale, può aiutare il coach a vedere certi aspetti che non vedrebbe mai e non porterebbe mai in un percorso di mentoring, perchè sono sotto il suo livello di consapevolezza. Come monitorare e misurare le proprie abilità di fare coaching? M.K.Il miglior modo di monitorare e misurare la tua abilità come coach è data dal ricevere feedback sul tuo livello attuale. L’altra eccezionale forma di misurazione è la seguente: “I tuoi clienti stanno diventando grandi coach per loro stessi e hanno sempre meno bisogno di coaching?”. I coach eccellenti si allenano a diventare obsoleti per I clienti. G.M.Noto due dimensioni in questa domanda, la misurazione e il monitoraggio. Secondo me la misurazione in un qualche momento nell’esperienza di un coach deve essere una misurazione oggettiva, quindi deve essere fatta da un esterno. In ambito ICF, negli esami di valutazione dei vari livelli gli osservatori esterni offrono un feedback specifico sul livello di competenza dimostrato in ciascuna delle competenze fondamentali. Credo che questa oggettivazione sia fondamentale. Ci sono altre forme di misurazione che possono essere fatte in partnership con i clienti. In che modo costruisco con i miei clienti un sistema che verifica la mia efficacia nella relazione con il cliente? Il mio cliente ottiene da me quello chesta cercando? Il monitoraggio si può fare sul proprio livello di consapevolezza. Io suggerisco di registrare le sessioni di coaching e ascoltarle come se si fosse un osservatore esterno che verifica la sessione di un altro coach, chiedendosi “Che cosa ho fatto di specifico che ha manifestato le competenze?”. Un altro sistema di monitoraggio può realizzarsi nel momento in cui attraverso la supervisione o altre attività di sviluppo, il coach diventa consapevole delle aree da migliorare e stabilisce degli obiettivi di sviluppo, ad esempio trimestrali, con precisi indicatori da verificare dopo ogni sessione con un cliente. L.Q, Uno dei compiti del supervisore è supportare il suo supervisionato anche a identificare dei metodi per essere un auto- supervisore. Certamente nel contesto ICF un grandissimo punto di riferimento sono le competenze, perchè sono la base che noi condividiamo e che hanno anche manifestazioni visibili e osservabili per il coach stesso. Più facile se riesce a rivedersi all’interno di un processo di coaching, a prescindere se lo fa con un supervisore o da solo. La misurazione e l’osservazione possono nascere anche da un percorso di auto coaching, in cui definisce quali sono i cambiamenti che vuole apportare nel suo coaching e come li monitorerà e gestendoli come obiettivi di sviluppo per se stesso. Affrontandoli magari un aspetto alla volta. Non credo però che sia possibile completamente arrivare a una misurazione, perchè chi si misura è influenzato dal suo livello di competenza circa le competenze|||

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