La capacità di sospendere il giudizio. Un’abilità preziosa non solo per coach.
La mentalità del “carretto pieno”.

C’è un racconto popolare, di facile reperibilità su internet, che rimanda alla differenza tra le persone usando una metafora interessante, paragonando cioè l’essere umano ad un carretto.
Quando un carretto circola su strada vuoto, esso fa rumore, cigola, è probabile che il suo arrivo venga avvertito a distanza a causa del suo tintinnare fragoroso; quando è invece carico e pieno di beni, esso fa meno frastuono e difficilmente è udibile da lontano, è più un sottofondo quieto che prende vita solo al momento in cui lo avviciniamo a noi.
L’intento di tale favola è quello di sottolineare come anche per le persone valga la stessa cosa: la similitudine del carretto vuoto rimanda alla persona “vuota”, arida, quella che tende ad inondare di chiacchiere superficiali, che interrompe nelle conversazioni, che giunge a conclusioni affrettate, che giudica con frettolosità, al contrario di quella “piena”, intesa come quella in grado di esprimersi attraverso la riflessione ponderata, la conoscenza profonda delle proprie emozioni, la gestione efficace dei propri comportamenti e delle proprie energie, attraverso l’accortezza consapevole delle proprie responsabilità quando chiamata a dire la sua all’interno di una conversazione.
Restando nel cuore di metafora, ho riflettuto sulla modalità con cui è possibile costruire e alimentare la cultura del carretto pieno, intesa come traguardo di bellezza qualitativa e non quantitativa del pensare umano. In approccio coaching equivale a riflettere sul come si possano allenare competenze personali carenti col fine autentico di costruire e aggiungere valore ai contenuti dell’individuo.
Da dove partire per rafforzare le fondamenta di tale sviluppo consapevole?
Da coach, le risposte al vaglio sono state tante, ma solo di una mi sono realmente innamorata: è la capacità di saper sostare -almeno momentaneamente- nella sospensione del giudizio di fronte a situazioni o eventi, che facilita la formazione di una mentalità piena ed accogliente, orientata a costruire riflessioni qualitativamente differenzianti.
Attraverso l’allenamento di tale competenza, di impareggiabile importanza anche nella pratica del coaching , è possibile arginare la tendenza immediata a etichettare, incasellare, inquadrare pensieri che invece per lo più abbisognano di spazi aperti e creatività per ambire ad autentica identità; allenare la flessibilità, l’ascolto, la permeabilità, l’agilità osservativa e di confronto, la propria attitudine all’ osservazione ed accettazione del diverso, permettono alla persona di non giungere immediatamente alle conclusioni ma al contrario di maturare una approccio indiziario alla verità, che si muove attraverso la riflessione cauta e accurata, capace di costruire riflessioni libere basate sull’ascolto di dati di realtà e non su stereotipi o pregiudizi.
Il carretto pieno non ha posto per il superfluo. Esso custodisce e trasporta beni, contando sulla capacità di saper abbandonare inutili pesi. Il suo viaggio è spesso accompagnato dal silenzio perché è in tale radura che la riflessione può dirsi profonda. È lento nelle sue percorrenze, perché è questo il territorio della qualità di pensiero, quello privo di scorciatoie e time line. La cultura del carretto pieno è ricca: di aneddoti, esperienze da condividere, domande curiose e predilige la condivisione della bella notizia, del sorriso aperto e disponibile all’altro e dell’approccio propositivo e costruttivo, quello in grado di sostenere anche le fasi più complesse.
Alimentare con costanza la mentalità del carretto pieno equivale a rafforzare l’approccio leggero ma mai superficiale, quel tipo di attitudine che il buon coach dovrebbe essere in grado di garantire costantemente al suo cliente consapevole che solo attraverso l’uso di filtri indulgenti e aperti si ha la possibilità di osservare ed esplorare l’area della possibilità e dell’autentica crescita in modo attivo e trasformativo. Spesso la bellezza del carretto pieno è visibile dalle sue rugosità ed irregolarità, dalle sue espressioni ricercate e poco convenzionali e la capacità di non giudicare tali aspetti, ma al contrario di valorizzarli, diviene l’antidoto più efficace all’omologazione e alla superficialità di pensiero.
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